Se il medico di base minimizza un problema

Trascurare il problema, banalizzando o minimizzando, può arrecare danni molto importanti soprattutto nelle persone fragili

Gentile dottore, un conoscente mi ha raccontato una situazione che avevo già avuto modo di riscontrare in altre persone. Un giorno si è rivolto al medico di base segnalando un sintomo al quale il medico stesso, minimizzando, non ha attribuito l’importanza che esami successivi invece hanno evidenziato. Quando e perché i medici di base dovrebbero rivolgersi agli specialisti?

Penso che ad ogni, anche piccolo, problema di salute si possa dare una risposta appropriata dal punto di vista medico. In primo luogo perché si deve dare un segno di vicinanza e comprensione al paziente, anche in caso di problemi (e spesso fortunatamente lo sono) di semplice risoluzione. In ogni caso è sempre sconsigliato minimizzare, anche se a volte potrebbe sembrare una comoda scorciatoia. Sono consapevole del fatto che spesso il medico di medicina generale (MMG) è travolto da un fiume in piena di richieste di visite specialistiche. Queste ultime non possono ovviamente essere una prassi ma lo diventano in casi complessi, gravi o in caso di decisioni che coinvolgano la chirurgia. Tralasciare di fare degli approfondimenti in alcuni casi può rappresentare una grave responsabilità.

Ho chiesto ad un medico generalista cosa ne pensasse al riguardo e mi ha riferito: “Ciò che accomuna medici di base e specialisti è il metodo clinico, che è sempre lo stesso e che permette sia il processo diagnostico e decisionale che quello gestionale terapeutico. Permette cioè di identificare le situazioni in cui le informazioni non sono sufficienti per decidere, rendendo così necessaria una consulenza con un altro medico, specialistica, o l’uso di un test di laboratorio o strumentale. Pertanto, se il paziente non presenta sintomi di allarme che conducano il medico a intervenire subito con l’approfondimento diagnostico, è sempre consigliabile assumere un atteggiamento di attesa e di prudenza. Infatti può succedere che per "eccesso di zelo" o di richiesta si sottoponga il paziente ai rischi connessi con gli esami strumentali e con la “sovradiagnosi”; si possono cioè diagnosticare malattie che per varie ragioni non nuocciono al paziente, ma che lo espongono ai rischi di terapie non indicate. Passando al lato pratico, ciò significa che il medico di base non deve inviare allo specialista i pazienti che portano malattie diffuse e comunemente trattate delle quali ha esperienza (ad esempio malattie croniche come il diabete o i problemi dell’apparato osteoarticolare), mentre quando si trovi di fronte a malattie più rare o gravi, o evoluzioni specifiche di malattie d’interesse specialistico (mi riferisco a tumori, problemi neurologici degenerativi, ecc.), è suo dovere inviare il paziente al secondo livello di cure e in maniera tempestiva”.

Vero è che al giorno d'oggi l’informazione che tratta gli aspetti medici è talmente a disposizione di tutti, tramite i mezzi di informazione ed internet, che le cose possono complicarsi piuttosto che semplificarsi perché per il paziente diventa difficile cogliere la differenza tra quello che si legge da soli o si sente dire e quello che è il sapere medico, spiegato dal curante. Anche la recente diatriba sulle vaccinazioni ne è una riprova. Non si vuole con questo negare il diritto, sacrosanto, del paziente di essere sempre informato. Anzi, il sapere, le informazioni non sono mai troppe! In questi temi la mediazione, ottenuta da medici capaci, colti, sensibili, è di fondamentale importanza. Non a caso il MMG, lo si chiamava spesso in passato “medico di fiducia, medico di famiglia”: segno di un cambio di atteggiamento?

Tornando alla domanda, mi viene in mente un episodio che racconto spesso agli studenti. Una signora anziana si rivolge al proprio medico preoccupata per non riuscire a camminare. “Questo ginocchio mi fa male, non riesco ad uscire di casa come prima!”. Il dottore le risponde: “Signora, questa è la vecchiaia; c’è poco da fare!”. La signora, arguta, ribatte: ”Certo dottore che sono vecchia, ma perché allora l’altro ginocchio non mi fa male, che ha la stessa età?”.

La banalizzazione certo è frequente, soprattutto quando si tratta di anziani. Questo comportamento ha anche un nome: ageismo, ovvero una discriminazione dell’anziano basata semplicemente sull’età. Porta ad esprimersi con stereotipi e nasconde una grande ignoranza culturale sulla vecchiaia. Trascurare il problema, banalizzando o minimizzando, può arrecare danni molto importanti soprattutto nelle persone fragili. Si deve tener presente che nei vecchi la sintomatologia si presente talora diversamente rispetto ai più giovani. I sintomi possono essere pochi, aspecifici, diversi e confondenti, per cui un parere di un medico più esperto penso che proprio in questi casi possa aiutare nella risoluzione delle problematiche cliniche. Basta chiedere con cortesia e instaurare un buon rapporto con il medico di medicina generale che diventa più semplice l’invio ad un esperto. Una strada di fronte a queste problematiche potrebbe essere una stretta collaborazione tra il MMG e uno specialista, a patto che quest'ultimo si possa contattare facilmente. Può sembrare paradossale nel mondo delle fibre veloci, ma spesso ciò che manca è proprio la comunicazione!

La cosa più grande che si possa fare con un vecchio è ascoltarlo, rispondere è nostra responsabilità di medici.

*gerontologo e geriatra

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