Beati gli svegli

Sap 18,6-9

Sal 32 (33)

Eb 11,1-2.8-19

Lc 12,32-48

Sono convinto che in questi nostri tempi Dio potrebbe chiamare ciascuno e le nostre comunità a una radicale revisione del nostro modo di pensare?

«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno» (Lc 12,32). Comincia con queste parole il Vangelo della diciannovesima domenica. È Gesù che consola i suoi discepoli, ma anche ne traccia l’identità. Non abbiate paura se siete in pochi, senza rilevanza. Non abbiate paura perché il Padre ha voluto consegnare a voi il suo sogno di nuova umanità. Quel piccolo gregge è appena una fiammella nella notte, che però diventa orientamento per molti. Dio non opera mai attraverso i grandi numeri, le grandi imprese; anzi, lo vediamo nella vicenda storica di Gesù, ciò che appare come un fallimento, diventa la vera vittoria. A Dio non interessano nemmeno le grandi qualità umane, perché agisce attraverso la debolezza e la fragilità. San Paolo poteva esclamare: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2 Cor 2,10). Infatti se uno non mette se stesso al centro, se non crede di essere lui a salvare il mondo, se lascia spazio ad altro da sé, allora Dio può diventare la parte più importante della sua vita.

Proseguendo nella lettura del brano di Luca, (Lc 12,32-48) lo potremmo riassumere con la beatitudine: «beati gli svegli», beati quelli che sono attenti a quello che fanno, che sono impegnati e che non si distraggono. Scrive l’evangelista: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone, in modo che quando arriva e bussa, gli aprano subito» (Lc 12,35). E quando viene Dio? Alla fine della nostra vita, con la morte? No, Dio continua a venire, non cessa di bussare alla porta della nostra vita e alla nostra Chiesa.

Essere attenti a questo Dio che viene vuol dire fra l’altro, che non si è ancora manifestato in tutta la sua pienezza e che, quindi, può mettere in discussione le nostre acquisizioni religiose, teologiche e culturali precedenti. Un pensatore viennese arrivò a scrivere che «la peggior scuola è quella che educa all’infallibilità. Non c’è niente di infallibile, di definitivo, ma tutto è sempre in divenire, è sempre in crescita» (Karl Popper). E lo possiamo sperimentare se noi crediamo davvero in un Dio presente nella storia, un Dio vivo, non imbalsamato, perché egli è sempre al nostro fianco, anche quando noi percorriamo strade nuove. Non rifiuta ciò che è nuovo, ma aiuta a comprenderlo in profondità. Ce lo ricorda il profeta Isaia: «Così dice il Signore: non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche. Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non vene accorgete?» (Is 43,18-19). Il cristiano è esattamente il contrario di chi non si aspetta più nulla dalla vita o dalla sua fede, ma anche di chi crede di conoscere ogni cosa, per cui gli basta ripeterla in qualche modo. Il cristiano non aspetta qualcosa, ma Qualcuno che è possibile incontrare. Non è un Dio che ruba la vita e i sogni, la voglia di felicità e di futuro. È invece un Dio che si fa servo, che si china davanti all’uomo, amante della vita e suo custode. È il Dio che viene a incontrarti e a parlarti!

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