Famiglia santa e imperfetta

1Sam 1,20-22.24-28;

Sal 83;

1Gv 3,1-2.21-24;

Lc 2,41-52

La famiglia come istituzione sociale, ha subìto enormi trasformazioni. Al tempo di Gesù dominava il modello patriarcale, per cui l’uomo aveva il diritto di dominio sulla donna e sui figli, che erano senza alcuna rilevanza sulla scena pubblica. Oggi siamo tutti testimoni, invece, del ruolo importante anche della donna nelle istituzioni pubbliche: non è più emarginata e quasi schiava del volere del marito, è essa stessa artefice e protagonista del suo destino. I figli non sanno e forse non possono più ripetere modelli prestabiliti; già adolescenti rivendicano la loro autonomia e la loro fatica di crescere in un mondo che si fa sempre più complicato. Molti tabù sono crollati: si ha paura di scelte definitive, tutto è provvisorio. L’autorità paterna, come ogni autorità è messa in discussione: ciò che vale e incide nei rapporti generazionali è l’autorevolezza, che nasce dal vivere in prima persona ciò che si vuole trasmettere. E anche l’amore si è fatto relativo, non condizionato dagli obblighi di una morale ferma agli anni passati. In questo contesto così mutato e in continua evoluzione, può forse dirci qualcosa la santa famiglia di Nazareth?

È ben chiaro che questa famiglia è di fatto una realtà unica e non ripetibile nella storia: c’è Maria, che diventa madre di un figlio nonostante la sua verginità e lo concepisce per intervento dello Spirito Santo; c’è Giuseppe, che è padre di Gesù secondo la legge, e perché lo ha educato; c’è Gesù, questo Figlio che solo Dio poteva donare agli uomini. Siamo dunque di fronte a una famiglia non imitabile nella sua vicenda. Ma nella sua esperienza c’è qualcosa che vale sempre, che vale anche per noi, perché le gioie e le sofferenze sperimentate dalla famiglia di Nazareth sono umanissime, e quindi riguardano ogni forma di famiglia e di vita comune. Soffermiamoci solo un attimo sulle parole di Maria: «Tuo Padre ed io angosciati ti cercavamo». E pensiamo alla risposta di Gesù: «Perché mi cercavate? Io devo occuparmi delle cose del Padre mio». I genitori pensavano di aver finalmente ritrovato un figlio, e lui dichiara di essere figlio di un Altro. Non è la casa di Nazareth che gli interessa, il suo sguardo abbraccia ormai il mondo e va oltre. Il Vangelo ci invita a varcare soglie, spalancare finestre per immergerci nell’intera famiglia umana: per creare nel mondo una famiglia di fratelli. Non chiediamo al Vangelo consigli spiccioli su come condurre una famiglia, ma idee e coraggio perché la vita si apra a dimensioni sempre più ampie. Alla famiglia di Nazareth non è risparmiata l’angoscia. «Angosciati ti cercavamo». E subito nasce un dialogo pacato, senza risentimenti, senza accuse che sa interrogare e ascoltare. È famiglia santa, ma i genitori non capiscono il Figlio. Ci appare come una famiglia imperfetta. E perché imperfetta è per tutte le nostre famiglie, con tutti i loro limiti, benedizione, consolazione e conforto. Maria chiede: «Perché ci hai fatto questo»? E nella domanda c’è tutto il dolore che pesa sul loro cuore di due genitori. Senza lasciare trascorrere troppo tempo loro tre si accettano di nuovo: «Gesù scese con loro, venne a Nazareth e stava loro sottomesso». L’incomprensione non ferma tutto, anche se non tutto è chiaro, anche se non tutto si è capito. Dalle vicende del tutto umane di questa famiglia riusciamo a capire che «si cammina anche nella sofferenza, meditando e conservando nel cuore, come Maria, gesti e dolori, parole e domande, con un atto di fede negli altri, perché Dio dipanerà un giorno quel lungo filo che tutto illumina e lega».

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