In fila con i peccatori

Is 40, 1-5. 9-11;

Sal 103;

Tt 2, 11-14; 3, 4-7;

Lc 3, 15-16. 21-22

Il teologo ortodosso Jannaras afferma: “Il fine del battesimo non è la santificazione personale, ma l’inserimento in quella comunione di persone che chiamiamo Chiesa”. Siamo consapevole di essere chiamati a vivere insieme agli altri, superando la deriva individualista e sentendoci responsabili della comunità? E che il battezzato è un uomo attento alle dignità degli uomini?

Il battesimo di Gesù è un dato storico certo perché ha creato più problemi di quanti non ne risolva. Chi infatti poteva pretendere di convincere i Giudei che Gesù era il Messia, raccontando che si era fatto battezzare con un battesimo di penitenza? Chi poteva presumere di convincere i pagani a credere in un Dio che si mette in fila con i peccatori per ricevere il battesimo di perdono? Che Dio è, colui che si mischia con le debolezze umane e si sporca dell’umanità inquinata che è propria dell’uomo limitato? Non è facile comprendere che il Dio di Gesù Cristo è un Dio che si mette in fila con i peccatori, li sceglie come privilegiati destinatari della sua predicazione (Lc 15,1-2). E Gesù è coerente con questa scelta iniziale in tutta la sua vita: tocca gli impuri, mangia con loro ed entra nelle loro case (Mt 8,3; 26,6) contravvenendo alle norme religiose e civili per essere il segno fedele di Dio che sceglie di piantare la tenda in mezzo a noi (cf Gv 1,14). Gesù fu un oppositore di tutto ciò che pretendeva di essere un «assoluto»: la religione (Gv 2,13-22), il potere economico-politico (Mc 10,40-45), le tradizioni e la cultura imperante (Mt 15,6). Fu un innovatore che seppe guardare in avanti e spinse i suoi discepoli a rischiare in proprio andando ad incontrare gli uomini nel loro stesso terreno: la vita vissuta nelle strade della storia (Lc 10,1-16).

Tutto questo ha inizio con il battesimo, quando Gesù si confonde con i peccatori e con loro si fa popolo. Non vuole passare inosservato, ma fin dall’inizio della sua vita pubblica fa capire quale sarà la direzione della sua vita, quali saranno le sue scelte. Non sceglie di stare dalla parte dei capi religiosi o politici, non si mette tra i fedelissimi del tempio; a lui non interessano i difensori delle tradizioni; a Gesù importano gli emarginati, i «poveri in spirito», coloro che sognano un mondo diverso. L’evangelista Luca scrive che tutto il popolo veniva battezzato, perché aveva compreso che «il perdono dei peccati» non è semplicemente questione di un rito, ma piuttosto di un profondo cambio di vita, accogliendo Dio che si offre con il suo Spirito. Se per la gente essere battezzata significava morire al proprio passato di ingiustizia, per Gesù voleva dire accettare la morte nel futuro in fedeltà al disegno del Padre. Gesù viene battezzato e «si aprì il cielo e su di lui scese lo Spirito santo in forma corporea, come di colomba»… Tutta la forza e la vita di Dio si fa presente in Gesù e ha inizio una vita nuova, come dopo il diluvio, una vita nella quale Dio non castigherà e non distruggerà più l’umanità per il suo peccato, ma attenderà con pazienza il giorno in cui donare la sua misericordia. E il Padre di Gesù finalmente parla: «Tu sei il figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento». È parola detta a noi e per noi, che ci permette di incontrare il Dio incondizionatamente buono, che non concede la sua benevolenza solo dopo che si è diventati giusti, ma offre il suo perdono a ogni persona. Così «mi sento piccolo, ma abbracciato dal mistero, piccolo, ma avvolto da un abbraccio che mi porta» (Ermes Ronchi). Vorrei concludere pensando alla ricchezza simbolica del battesimo cristiano: il ritrovarsi parte di un popolo che ama, spera, lotta per la giustizia e la pace dell’intera umanità annunciando «la tenerezza misericordiosa del nostro Dio».

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