Incòntrati

Quanto è importante andare incontro a tutte le nostre parti, anche quelle che ci piacciono meno!

Ricevo:

"Del tempo passato ciò che più mi manca è proprio il tempo che mi concedevo, il tempo della quiete, delle parole che curavano, degli abbracci.

Ogni tanto ho paura di essermi persa, di aver perso per strada qualcosa di importante. Fatico a riconoscermi in quella che ero, depressa, stravolta, ferita.

Non sono cambiata in meglio. Non credo sia nemmeno questo il senso del nostro vivere. Credo che nei passaggi della vita, si debbano incontrare tutte le nostre parti, anche quelle che ci piacciono meno. Ora sono apparentemente più forte, ma non ci credo tanto. Certo è che questo tempo, anche per il lavoro, mi ha messo davanti aspetti di me che non conoscevo; ne ho osservato l'assurdità, ma anche le possibilità. Ne ho visto i limiti, ma anche la bellezza. Ho demolito molte credenze che avevo, alquanto posticce, ne ho altre nate dentro le fatiche, più solide.

Se mai ho avuto fede in Dio, credo non fosse roba mia. "

Cara Amalia, stai diventando consapevole di due scoperte interiori preziose. La prima, come non sia importante voler cambiare in meglio, voler essere più forte, darsi tempo per consolarsi, aver un castello di credenze in cui arroccarsi, quanto piuttosto l'incontrare, l'andare incontro a tutte le nostre parti, anche quelle che ci piacciono meno. Quanto volentieri le nasconderemmo, anzi le cancelleremmo dal nostro autoritratto interiore. Quanta vergogna ci provocano davanti allo specchio di noi stessi. Spesso, poiché non sappiamo come annullarle le ignoriamo. Cerchiamo di non incontrarle, facciamo finta che non esistano. Ci comportiamo come con un parente, un collega, un vicino di casa antipatico, pesante, noioso, aggressivo, imbarazzante. Meglio girare al largo, evitare occasioni di incontro visivo e vocale. Se le parole sono ponti, le riduco al minimo. Facciamo il possibile che questo alieno non esista. Ma quanta fatica in questo vivere da reciproci clandestini, quasi un mutilarsi di un arto che non mi piace ma che mi appartiene e del quale avrei bisogno. Qualcuno di noi nega categoricamente di ospitare questa parte indesiderata, e magari si specializza nell'attribuirla agli altri, altri più umilmente la tengono appunto a distanza. Timidezza, senso di inferiorità, minore attitudine verso qualche campo culturale, fisico, temperamentale, capacità di relazioni sociali, creatività, memoria, leadership. Incontrarle, dar loro diritto di cittadinanza, non sculacciarle perché piangono, incominciare a comprendere da dove vengono, accorgersi che non sono un segno di stupidità o di mia colpa ma sono ferite che da eredità o da cause esterne mi son venute. E un ridonarmi dignità e un ricevere da loro, come ringraziamento, un incipiente senso di unità della mia persona. Unità mai finora sperimentata, che pian piano imparo a gustare sempre più. L'ombra che abbiamo dentro di noi rimane una parola chiave per la nostra vita: saperla ospitare e riconoscerla come, sia pur scomoda, alleata.

Ma una seconda scoperta, ancor più profonda, stai annunciando. Assieme alle innegabili assurdità ti sei accorta delle possibilità che queste parti meno piacevoli ti offrono e che correvi il rischio di perdere. E non solo perché ti hanno esercitata nella pazienza. E' vero, da queste carenze o da queste ferite sei stata danneggiata fortemente e forse hai dovuto rinunciare alle mete più promettenti della tua vita. E' vero, ti hanno fatto pagare una tassa ingiusta a livello fisico, di riconoscimento economico, di considerazione sociale, di realizzazione affettiva. Eppure ti hanno indicato valori, ti hanno affinato in sentimenti che altrimenti sarebbero trascorsi inavvertiti. Sei come una persona che dovendo camminare abitualmente su superfici troppo lucide o su intelaiature sottili per trasferire oggetti delicati e fragili, acquista un passo armonioso e leggero capace di proteggere quanto le è stato affidato e sa, come giustamente dici, “che non è roba sua”. Così anche le pattinatrici.

Su Vita Trentina di maggio la parola chiave era “L'ombra”. E di questa proprio si sta parlando. A questo punto mi viene da suggerirti, e da suggerire ai nostri lettori, un esercizio, tranquillo, da portare avanti nei prossimi giorni. Lasciare emergere a livello della tua consapevolezza proprio la parte meno piacevole di te, riconoscendo il cruccio che ti ha dato nella vita ma lasciando affiorare anche i doni con cui ti ha arricchita. Doni che puoi scrivere su una paginetta , verso i quali sentirai una certa resistenza, specie iniziale, ad ammetterli ma anche una meraviglia che possano essere tali e tanti. Una paginetta che potrà tenerti compagnia e crescere anche molto in questi mesi.

Avviene come a Maria quando perde il Figlio morente in croce e si sente presentare Giovanni come “Ecco tuo figlio”. Il dolore è intenso. Non sono madre della Amalia che sognavo ma sono più che mai madre. E’ una Amalia non prefabbricata, lenta a diventare se stessa. Nell’accorrere in aiuto di Lazzaro malato, morente e morto, Gesù arriva in ritardo. Non per altri impegni più urgenti, ma un ritardo voluto. Forse un ritardo necessario ad un Lazzaro ancora adolescenziale, non autonomo, ancora troppo dipendente, non tanto capace di crescere di suo.

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