Magia di certe parole che diventano slogan, epiteti ingiuriosi, classificazioni che portano all’ostracismo, sinonimi di peste da evitare. Sono come le marchiature con ferro incandescente sulle carni vive degli animali; non spariscono più e i marchiati se l portano addosso come cicatrici indelebili. No global, pacifista antiamericano. Basta un untore, e ce ne sono tanti, che te le appiccichi addosso e sei scomunicato da evitare.
“No global” sono stati definiti i manifestanti di Genova. Ed è diventato un marchio di vergogna, sinonimo di spaccavetrine e della modernità.Di fatto sono i più attivi e costanti fruitori di Internet, pressoché unico mezzo di collegamento che più moderno e più globalizzato non si può. E’ vero, sono contro certi disastri della globalizzazione e ne vogliono una diversa. Sono quindi per una globalizzazione nuova, alternativa per cui si sono autobattezzati “new global”. Ma non c’è nulla da fare, il marchio no global resta, ed è stato immediatamente richiamato quando a Catania si son verificati gli scontri nei quali è stato ucciso l’ispettore di polizia Raciti. Né l’accusa infamante è stata ritirata quando è apparso che responsabili erano le tifoserie per l quali il mondo è solo quello ristretto di una squadra di calcio.Pacifista è un’altra parola-epiteto di infamia. Essere e dichiararsi per la pace senza se e senza ma come lo era S. Francesco di Assisi significa oggi iscriversi tra i monisti, imbelli e incoscienti fiancheggiatori dei terroristi. E qualche monsignore l’ha pure scritto che significa essere violenti per cui si dichiarava per la pace ma non pacifista. Eppure l’endemica tensione tra Israeliani e Palestinesi in Medio Oriente con periodici scoppi di violenza pare non conoscere alternative se non in un orizzonte di pace. La guerra preventiva col pretesto dell’esportazione della democrazia in Irak è stata un fallimento totale e da anni ormai, anche dopo la cessazione della guerra guerreggiata si odono quotidiani bollettini di stragi di civili, diventati talmente “ordinari” che i giornali non li riportano nemmeno oppure li relegano nelle pagine interne come fossero incidenti stradali. E invece si tratta sempre di decine e decine di morti e di centinaia di feriti.Anche la lotta al terrorismo con la guerra e l’identificazione degli Stati canaglia, non ha avuto esiti positivi, anzi la minaccia del terrorismo è cresciuta a dismisura così da far pensare gli stessi ideatori di quella lotta a misure diverse, alternative, multilaterali e diplomatiche. Non pacifiste ci si tiene a precisare, ma pur sempre pacifiche.E siamo al termine che vuole essere il più velenoso e spiazzante: antiamericano. Chi lo usa gettandolo in faccia all’avversario come una pallottola si sente esonerato anche dall’argomentare, dal portare pezze giustificative. Neanche il vecchio termine “lebbroso” è più inesorabile e indiscutibile.Antiamericani sono stati definiti i manifestanti di Vicenza, sì quelli che hanno brillato per la non-violenza. E con questo marchio vengono liquidati. Fabrizio Tonelli, docente di Scienza dell’opinione pubblica all’Università di Padova, così scrive dopo aver analizzato la manifestazione di Vicenza: “Non c’è nulla di più stantio e insulso dell’accusa di essere antiamericani. E’ vero, gli Stati Uniti ci hanno liberati dal fascismo; ci hanno aiutati col Piano Marshall: combattono al-Qaeda anche se nel modo che abbiamo visto prima.Ma è anche vero che il 66 per cento degli americani oggi è insoddisfatto di come vanno le cose negli Stati Uniti e solo il 32 per cento apprezza Bush. E allora Tonello si chiede: “Quando due terzi dei cittadini americani è contrario alla politica della Casa Bianca, dove stanno gli antiamericani? A quanto parte sono più numerosi a Washinton che a Roma! E pertanto, chi è oggi filoamericano?Magia dei nomi! dicevo all’inizio. Ma si affida alla magia anche nella vita normale, solo chi è a corto di argomenti e usa le parole come sassi.
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