Uomo ed economia: i nodi al pettine

E’ in pieno svolgimento a Trento il secondo festival dell’economia, che quest’anno verte sul tema del capitale umano e sociale. L’idea è stata suggerita, o si è imposta, nella prima edizione quando con meraviglia non solo degli organizzatori ma di tutti si sono formate le code all’Auditorium per sentire le lezioni di famosi esperti di economia. Insomma si è scoperto che l’economia non è solo per gli addetti ai lavori ma interessa intellettuali e studenti di ogni branca del sapere, e pure la gente comune e l’uomo della strada.

L’economista Stefano Zamagni va dicendo da anni che nell’economia va inserita e interpellata anche la società civile e non solo perché dell’economia è destinataria ma an che perché l’economia non si sviluppa senza la “fiducia” della società civile. Viene così sfatato il principio, svenduto come assoluto, per cui all’economia per funzionare bastano le leggi del mercato. L’uomo, cacciato dalla porta rientra dalla finestra o, se si preferisce, i nodi vengono al pettine.

Il neoliberismo della “Nuova Destra” francese sentenziava che “bisogna guardarsi come dalla peste da ogni criterio umanistico in economia”. E così, purché l’economia vada bene, la gente può anche morire di fame.

Ora, può darsi che il motivo contingente che spinge la gente ad interessarsi di economia sia il provare sulla propria pelle gli effetti delle scelte economiche. Ma c’è un motivo più profondo, che attinge alla natura dell’uomo e quindi kantianamente alla legge morale. Già dai tempi di Socrate si affermava che l’uomo è la misura, il metro di tutte le cose.

Più vicino a noi, è risuonato il sillogismo di Papa Wojtyla nella sua enciclica sul lavoro che così può essere espresso: E’ il lavoro per l’uomo e non l’uomo per il lavoro”. E’ il capitale per il lavoro e non il lavoro per il capitale. Conclusione: Il lavoro e il capitale sono per l’uomo. Il soggetto primario quindi è l’uomo. Quasi per attrazione modale è subentrata la nuova dizione di “capitale umano” cui si è aggiunta quella di capitale sociale per alludere alle relazioni tra le persone. E qui emergono come soggetti le associazioni, le cooperative, i gruppi di volontariato e tutto il mondo del non-profit. In una parola: la società civile.

Sembra un paradosso, ma è proprio lo sviluppo della tecnica e il proliferare delle tecnologie che sta riportando in primo piano l’uomo, la sua intelligenza e la sua capacità inventiva. Le tecnologie tanto importanti nel qualificare il lavoro oggi, non sono possibili senza l’inventiva umana. Per questo oggi si dice che bisogna investire informazione, nel favorire la meritocrazia e nel sostegno dei cervelli. E’ noto che una piaga italiana è “la fuga dei cervelli”. Perchè una società in cui non si fa ricerca e innovazione è destinata a regredire. Il “capitale umano” quindi risulta decisivo per il futuro dell’economia. Ma importante è anche il “capitale sociale” soprattutto per il ricupero di quell’economia che sembra tramontata. Si dà per scontato, spesso anche nelle sedi accademiche che l’economia è per il profitto, cancellando con un sol tratto di penna il solidarismo cristiano come quello socialista, perfino quella che fino a ieri si chiamava economia della famiglia e, assieme ad essa, l’economia municipale perché non si pongono come fine precipuo il profitto. Eppure producono beni e servizi.

Per questo dico che con la valorizzazione del capitale umano e del capitale sociale i nodi vengono al pettine. Forse si potrebbe azzardare a dire che è una vendetta della natura. In questo caso della natura umana.

Dal punto di vista cristiano si potrebbe ricuperare e rilanciare l’altra idea di Papa Wojtyla: quella del “Vangelo del lavoro” o “Vangelo dell’economia”. Che sia un segno dei tempi?

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