Come Tom Hanks in Castaway

Tom Hanks in Castaway

Eccoci qua, scaraventati indietro nel tempo, fino ad esperire una condizione che per molti di noi era solo letteraria, per altri del tutto inedita. Forse l’eco sussurrata dalle pietre di un villaggio alpino spopolato nel Seicento, il silenzio vibrante di una roccia da cui sapevamo sporgersi qualcuno a fine giornata per gridare a valle la conta dei vivi e dei morti.

Oggi quella conta la danno tv e internet, estesa a livello nazionale e mondiale, ma l’esperienza del limite non cambia.

Consegnati in casa, come su isolotti più o meno deserti, tocchiamo con mano ciò che diceva l’ebreo orientale Heschel di noi occidentali, figli dell’era tecnica: che abbiamo conquistato lo spazio sacrificando ad esso il tempo.

Per signoreggiare lo spazio, ci siamo inventati mezzi di trasporto sempre più potenti, abbiamo sfruttato le risorse naturali senza pietà, lo abbiamo riempito di costruzioni e di strade, e abbiamo riempito i nostri spazi personali di una quantità smodata di oggetti. Ma davanti al tempo ci fermiamo smarriti.

Abbiamo cercato di dominarlo riducendolo al presente e frammentandolo sempre di più in modo da farlo scorrere sempre più veloce, sentire solo l’ebbrezza della corsa, poter fare di tutto e di più nel minor tempo possibile… Poi, improvvisamente, eccoci qui, come Tom Hanks alias mr. Noland in Castaway, tagliati fuori dallo spazio, alle prese con la dimensione del tempo che non scorre, o forse sì ma noi non siamo in grado di vederlo e di sostenerne il peso. E tutti gli oggetti di cui ci eravamo dotati per vivere da isolani solitari e felici come Hugh Grant, alias Will Freeman, in About a Boy, non bastano a reggere questa sospensione del tempo, e di fronte alla prospettiva che il tempo possa avere fine sono del tutto inutili.

Non è singolare che la manifestazione di tutto ciò sia coincisa con il tempo di Quaresima ed abbia troncato di netto la coda al carnevale? Per la prima volta nella nostra esistenza l’invito annuale ad entrare nel deserto e a restarvi per 40 giorni, non è una metafora spirituale ma un ordine reale dell’autorità civile che ci trova impreparati alla prova.

Eppure può essere un tempo di grazia. Da non riempire ulteriormente di cose, di voci, di suoni.

Tutti danno consigli in questi giorni su cosa fare, cosa leggere, cosa guardare… Questa rubrica dovrebbe dire dove andare a cercare i film da guardare insieme in famiglia. Dovrebbe segnalare le iniziative straordinarie che mettono a disposizione contenuti on-line. Ma perché, invece, per una volta, non prendere sul serio l’invito a fare silenzio e metterci alla scuola del Tempo, in attesa e in ascolto? perché dal silenzio possa uscire una parola vera, nuova e antica, che tocca il cuore e lo riempie. E non di cose.

Perché il riconoscimento della fragilità comune ci consenta di avvicinarci in modo nuovo all’annuncio del Regno, che è regno del tempo, dove ciò che conta è essere, non avere; dare non possedere; aver parte, non regnare.

Allora, se proprio serve, come esercizio di allenamento, potremmo riguardare la tenera signora Toku alle prese con la marmellata di fagioli azuki e, visto che una volta tanto abbiamo il tempo, se li troviamo, potremmo provare a seguire la ricetta.

Altrimenti, giorno per giorno, guardiamo le piante secche sul balcone o in giardino che in modo del tutto inatteso rimettono le foglie e fioriscono. Provando a sentire cosa dicono alla nostra vita e il legame che ci unisce. Forse, allora, sentiremo anche la presenza che ci regge gli uni e gli altri.

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