La vita di Eva a passi di danza

Un fotogramma tratto da L’euforia dell’esistenza

I documentari non trovano ancora spazio adeguato in sala. Sono perlopiù relegati nei festival. E’ un peccato perché aprono mondi e visioni che purtroppo rimangono sconosciuti ai più. Il Trieste Film Festival dedica ai doc una sezione. Il migliore è premiato dal pubblico. Così come il lungometraggio e il corto più apprezzati. L’edizione numero 31, promossa da Alpe Adria Cinema e diretta da Fabrizio Grosoli e Nicoletta Romeo, si è svolta nel capoluogo giuliano dal 17 al 23 gennaio scorsi e come sempre ha proposto una panoramica significativa del cinema dell’Europa centro orientale e dei Balcani occidentali. Un cinema con una tradizione importante e un presente nelle sale italiane perlopiù invisibile, se non per rari casi.

Il documentario L’euforia dell’esistenza, dell’ungherese Réka Szabò, ha vinto il festival (è stato premiato anche dal network giornalistico trentino Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa “perché incarna, nell’incontro tra una donna anziana e una giovane danzatrice professionista, la bellezza del contatto con l’altro, contro l’intento dei carnefici nazisti di annichilire il corpo e deumanizzare la persona”). Già Gran premio alla Semaine de la critique all’ultimo festival di Locarno e miglior doc sul tema dei diritti umani a quello di Sarajevo, L’euforia dell’esistenza commuove per la sua intensità e umanità. Aveva vent’anni Eva Fahidi, oggi novantaquattrenne, quando fece ritorno in Ungheria dal campo di concentramento di Auschwitz Birkenau dove aveva perso 49 componenti della sua famiglia.

Dopo settant’anni da quella tragedia ad Eva viene chiesto di essere protagonista di una performance teatrale sulla sua vita. ”Volevo dare spazio ai suoi traumi mentre interagiva con Emese, una giovane ballerina – riflette la regista – Il film ci porta in un viaggio attraverso la storia del XX secolo. Un film sulla perdita, sul potere della danza, sull’invecchiare del corpo, sull’amore, su un rapporto che si instaura nonostante la differenza d’età”.

Il premio per il miglior lungometraggio è stato assegnato a Il padre dei bulgari Kristina Grozeva e Petar Valchanov, film che ha vinto lo scorso festival di Karlovy Vary. Rapporto tra un padre e un figlio che si “ricostruisce” dopo la morte della moglie (madre) i cui messaggi sul cellulare di una parente arrivati post mortem (evidentemente impossibile) innescano una carrellata di situazioni tra il tragico e il comico. Una sorta di road movie (film di ricerca itinerante) surreale e balcanicamente ironico. Un mare di felicità della bielorussa Aliaksei Paluyan è risultato il corto che più è piaciuto al pubblico. Storia di una bambina “spedita” dal padre in orfanotrofio da cui scappa e ritorna. Dedicata a tutti gli orfani.

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