Anno pastorale, la sveglia del mattino

Una cucina delle nostre case in un pomeriggio di metà settembre. In scena, la mamma e i tre figli. Il grande interpella lo smartphone, l’altra controlla l’elenco dei libri di testo scolastici, mentre il più piccolo prende possesso del divano per un break tra giocattoli e cartoni animati. All’improvviso la mamma sbuffa dopo aver letto il messaggino in cui l’amica le comunica che il “don” ha fissato con ampio anticipo la prima riunione delle catechiste: “domani, 20.30, in oratorio!”

Vita pastorale che entra di soppiatto, come un ladro, nella quotidianità di una famiglia, che ogni tanto va a Messa (ormai solo la mamma con il più piccolo dei figli) e che, per una strana alchimia dello Spirito Santo, è disponibile (qua solo la mamma!) a tenere aperta la porta dell’opportunità di un incontro prezioso con le famiglie che mandano i figli alla catechesi.

È già arrivato, il nuovo Anno pastorale: cosa significhi esattamente è qualcosa che appartiene al mistero della fede. Prova ad andare al bar del paese, lì di fronte la chiesa, e annuncia ai presenti l’inizio del nuovo Anno pastorale. Vedi il vecchio Toni, dietro al bancone, come ti prepara subito un prosecchino, pensando che il governo si sia inventato una nuova tassa.

Noi diciamo Anno pastorale, ma se non si coniuga con la quotidianità familiare e comunitaria, stiamo parlando del mondo che non c’è e mai ci sarà! L’Anno pastorale sembra la ripresa delle “solite” attività di una parrocchia dopo lo stacco estivo. Se c’è il cambio del parroco la novità smuove qualcosina, altrimenti i soliti volti noti, solo un po’ più vecchi. Eh sì! L’Anno pastorale scava, scava, è questione di volti.

Questo sabato 21 settembre ci ritroviamo a Trento, è già tempo di rapporti economici diocesani; ottobre è dietro l’angolo con il suo richiamo straordinario alla missionarietà e l’avvio delle Assemblee per zone pastorali. Il calendario del vescovo Lauro è zeppo di impegni. Il parroco (quello di ogni anno!) si è ritrovato con qualche parrocchietta in più e la nostra mamma catechista ha stampato in faccia l’entusiasmo di chi, sorridendo, pensa: “È ogni anno quella!”.

È vero, ogni 365 giorni queste due paroline pre-autunnali fanno capolino negli avvisi parrocchiali: Anno pastorale. Cosa cambia? Innanzitutto le date, in questo caso: 2019-2020. Dietro a questi numeretti messi in fila ci sono volti, storie, fatiche… C’è la nostra ordinarietà fatta di sorrisi e sguardi che attraversano la storia senza capirne il senso. Ci sono anche rabbia e frustrazione, mentre da un angolo del cuore scendono lacrime di sofferenza.

L’Anno pastorale è la sveglia al mattino. Suona per ricordarci che siamo parte di questo mondo e non di quello dei sogni. Ci dice che prima dei “bisognerebbe fare” ci sono volti da incrociare, storie da ascoltare, ferite da tamponare con il cotone della misericordia e il disinfettante del perdono. E di Gesù, caro il nostro diacono, non dici niente? Del futuro “futuribile” della Chiesa non ti interroghi? Formule magiche per tenere la gente in chiesa non le hai?

Ritorniamo nella nostra cucina, perché la figlia adolescente ha una battuta che non incoraggia, eppure stimola la nostra fede: “Mamma, ancora dietro a quelle cose dei preti. Lascia che si arrangino le altre mamme!”.

Alessandro, fratello diacono.

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