Se dal Vangelo si togliessero le donne resterebbe poco

Da quando sono stata accolta e aggregata nella comunità religiosa dei Padri Venturini, continuo in un certo senso a cercare il posto della donna nella Chiesa in un regime misto (mi sembra sempre il regime migliore) e in una prospettiva che va al di là di questo tema. Al di sopra di tutto c’è infatti la ricerca di Dio e il servizio evangelico di chi ricorre a noi.

Mi si dilata l’orizzonte nella preghiera, nell’ascolto della Parola, nell’accoglienza non frettolosa dell’altro.

Cadono molti schemi, molte cose si relativizzano. Si sperimenta anche che davvero, nella nuova creatura cristiana che si lascia crescere in noi, non c’è più nè uomo nè donna. E tuttavia è anche vero che quanto più l’essere si espone nel profondo alla presenza di Dio, quanto più si fa attento e disponibiÌe al fratello, tanto più genuino esce il suo timbro sessuato; e l’essere donna non 1o senti più assolutamente allora un fatto di ruoli, di aree specifiche, è una qualità dello spirito, forse

non troppo definibile, nella quale l'altro (1'uomo) può specchiarsi e riconoscersi, come in lui io mi specchio e a mia volta mi riconosco per que1la che sono, altra da 1ui.

Così vivo una convivenza con molti fratelli (va detto che non sono affatto viziati di maschilismo) , senza propormi nulla di speciale per il fatto di essere donna, né essendone sollecitata da loro. E tuttavia mi sento vivere in piena autenticità nella missione comune, in un rispetto reciproco e in una reciproca accoglienza e corresponsabilità, e anche mi scopro a volte inaspettatamente creativa, creativa al femminile.

Penso sia il gioco della mutualità umana che ha 1a sua massima possibilità di esprimersi nella vita di coppia ne1 matrimonio, ma che in qualche modo si esprime beneficamente sempre quando uomini e donne si rapportano tra loro secondo il disegno di Djo.

Nella Chiesa come nella società umana.

Questa esperienza che vivo, fatta all'esterno di minime cose, mi ha accresciuto l’interesse per il volto interiore delle persone, quello che prende corpo nell’ incontro con Cristo, il rivelatore del padre e il rivelatore dell' umanità.

Mi sto accorgendo che frequentando Dio nell’orazione, l’immagine sua che noi siamo, al femminile, comincia a venir fuori dalle nebbie , anche se resta mistero.

Frequentando 1a scrittura – da ignorante qual sono, ma da appassionata sincera – si colgono tracce di un disegno che è davanti cui a noi, ma di cui noi troviamo qualche corrispondenza anche nel profondo di noi.

Si comincia ad avvertire, come esigenza esistenziale, il bisogno di armonizzare i1 nostro essere profondo con questo disegno divino. Allora mi sta diventando sempre più interessante frequentare i1 vangelo.

Andare a cercare cosa è avvenuto tra le donne e Gesù.

Che Gesù abbia trattato bene le donne, le abbia liberate, ne abbia rivoluzionato il destino fa parte dell’insegnamento di sempre. Ma oggi lo sento con maggior verità.

Oggi leggo e rileggo i vangeli e mi accorgo sempre di più che tutte le figure, le situazioni, le immagini, 1e parole al femminile sono cariche di una valenza espressiva che non avevo sospettato. Grazie all’aiuto anche di autori che hanno scavato ra materia con competenza esegetica e finezza di spirito e magari anche con sensibilità femminile (Laurentin, Quéré, Blaquière…), mi sono resa conto che c'è stato tra Cristo e le donne una straordinaria comunicazione reciproca, come un’intesa preferenziale, che ha consentito loro di accogliere facilmente 1a salvezza e le ha rese pronte a trasmetterla. Tanto che si può ben dire che se si togliessero dal vangelo le donne resterebbe ben poco: verrebbe meno un corpo notevolissimo di rivelazioni che sono state fatte a loro, non conosceremmo 1o stupore delle prime espressioni della fede che proprio le donne hanno articolato, svanirebbe que11a parte di umanità che ha dato a Gesù l’accoglienza più incondizionata e gli ha così consentito di manifestarsi.

Le donne sono state le prime a mettere Gesù in condizione di essere se stesso e di agire. Le prime che non gli hanno fatto resistenza, che gli hanno offerto una comprensione globale e un assenso totalitario.

Allora io credo che se si vuol andare avanti nel capire quale sia il posto della donna nella Chiesa, questa è la pista maestra.

Risalire al Vangelo, cercar di capire senza stancarsi cosa sia passato tra le donne e Gesù, esporsi personalmente a quello sguardo che rivelava le persone a loro stesse, che le tirava fuori dall'anonimato, che ne metteva a fuoco il volto, le riconosceva e 1e amava e poi dava loro un compito nella costruzione del suo Regno.

Non in concorrenza con gli apostoli, qualche volta prima di loro o verso di 1oro, e molto spesso insieme con loro.

L’assemblea de1 Regno che Gesù convocava attorno a sè è un’assemblea mista, in cui le donne sembrano portare forse più degli altri l’intuizione, il presentimento della totale novità di ciò che avviene. Da questa novità sono esaltate, di questa si mettono a servizio non al modo servile della loro condizione sociale di allora, ma col vanto sovrano di seguire e imitare it signore che si è fatto servo perché uomini e

donne fossero liberi.

Per concludere: non voglio affatto sminuire l’importanza di approfondire i problemi delle donne, come si pongono oggi sul piano sociale: è imperativo di giustizia; né l’ importanza di confrontarsi con 1e analisi e le proposte dei vari movimenti femministi: è doveroso. Non voglio negare che sia importantissimo anche dichiarare ne1la Chiesa le cose che non vanno e il pericolo che, a non vederle, si renda difficile per molte

donne l’abitarvi. Mi sono convinta che, alla lunga, ciò che sbloccherà certi nodi anche in casa nostra sarà il risalire ai giorni di Gesù e ascoltarne il messaggio

con quella nuova apertura e disponibilità che può aver scavato dentro di noi l’esperienza della vita moderna,

con quella nuova sete che le nostre insoddisfazioni ci alimentano.

È una conclusione di tipo spirituale: una dimensione che non si può scartare.

Sitia Sassudelli*

*ex presidente Azione Cattolica trentina

Dida: Un testo di 30 anni fa

Sitia Sassudelli, già presidente dell’Azione Cattolica trentina scomparsa poche settimane fa, aveva scritto questo testo per l’8 marzo 1987 come intervento ad un convegno dal titolo “Quale posto per le donne nella Chiesa”.

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