Buttar via il pane? Uno spreco degradante

In Italia 13 mila quintali di pane ogni giorno diventano immondizia. Va ripresa una cultura del pane

Lo spunto

Giorni fa sono stato costretto a transitare a piedi vicino alla gabbia dell’area raccolta rifiuti di un grande condominio di Trento Nord. Non potevo non scorgere, vicino al bidone marrone dell’umido, già stracolmo, un sacchetto di plastica da cui traboccavano intere pagnotte di pane. Poiché da ragazzo – eravamo dopo la seconda guerra mondiale – mi avevano insegnato che il pane non si deve mai sprecare (non si pensava nemmeno di buttarlo nelle immondizie!), tale fatto mi ha sollecitato a riflettere, molto. Ancora oggi utilizzo il pane raffermo per fare degli ottimi canederli, in diverse varianti, oppure degli “strangolapreti”, ma mi ricordo molto bene che nei tempi citati veniva fatta la “panada” o la torta di pane. Proprio in questi giorni ho letto di una pizza fatta con il pane raffermo che sarebbe una bontà ! Il pane si può anche grattugiare ed usare per le impanature. In ogni caso il residuo ancora oggi lo conservo bene all’asciutto e lo porto a chi alleva galline ovaiole su nel Vanoi !

Lino Trotter

Trento- Primiero

Buttar via il pane è uno dei grandi delitti morali della nostra epoca, forse peggiore del saccheggio ambientale che porta ai ricorrenti disastri climatici, mentre il pane gettato nell’immondezza è una bestemmia verso Dio e gli Uomini. E’ un insulto verso chi ha fame (settemila bambini al giorno muoiono ancora denutriti, secondo “Save the Children”) ma rivela anche il disprezzo di chi è sazio verso ciò che ha, e quindi verso se stesso.

Gettar via il pane è un degrado prima personale e poi sociale. Finisce anche per delegittimare l’intero sistema economico, mostrando quanto sia fasullo uno “sviluppo” basato sul “consumare, scartare, inquinare”. E’ un sistema che già avvelena l’aria con i fumi, soffoca il mare con la plastica ed ora disprezza la sacralità della vita con il pane rifiutato. Né basta riscattarsi dicendo “brava” alla giovane Greta. Quanta ipocrisia: “Ma sì, vai avanti tu ragazzina … qualche corteo … noi non giochiamo, vendiamo!”

Troppi sono gli sprechi, ma il pane ha un valore speciale, perché è da sempre l’alimento base della civiltà, perché è stato selezionato nel grano (e poi macinato, impastato, lievitato, cotto) da mani d’uomo e di donna, perché vince la fame antica e terribile della miseria, perché è ancor oggi un alimento pochissimo costoso (40 centesimi una pagnotta che, con altrettanto companatico, può nutrire). E’ sacro perché unisce il cielo e la terra nella preghiera (“pane nostro quotidiano”) nel messaggio cristiano (il pane spezzato, il pane moltiplicato per sfamare le folle) ma anche nelle rivendicazioni sociali, con le “rivolte” per il pane (Renzo a Milano nei “Promessi sposi”) e le ribellioni contro la tassa sul macinato: “Vogliamo pane”. Non sono racconti lontani, sono realtà, tanto che l’uomo avverte i sempre dentro di sé che se perde il pane perde se stesso. Nei lager e nei gulag i prigionieri morivano per un tozzo di pane, ma nei masi di montagna, prima ancora della Stube veniva costruito il forno del pane, da riporre poi nella madia perché si conservasse. Il pane alpino, buono come quello mediterraneo. I francesi hanno fatto della “baguette” un simbolo nazionale e l’Italia vanta una varietà di pani ineguagliabili che sono arte e bellezza, oltre che sapore e sostanza. Si va dal pane pugliese a quello toscano, dai “bècchi” e maltagliati trentini al “bauerbrot” sudtirolese, per non dire della civiltà contadina (radice primaria, antica e attualissima da non smarrire, di ogni identità) che ha elaborato quei piatti con gli “avanzi” di pane che oggi fanno la fortuna di tanti master-chef stellati. Altro che immondizia. Non è un caso, peraltro, che a Trento il culmine delle feste vigiliane del patrono, non sia tanto la “tonca” o la “notte bianca”, ma la distribuzione in piazza del “pane di San Vigilio”.

Nella sua lettera Lino Trotter ricorda come, rispetto ai vecchi “pistori”, il pane “industriale” si sia banalizzato e impoverito. “Oggi – scrive – si trova pane in una varietà multiforme (e ciò aumenta di oltre il 10 per cento le rimanenze e lo spreco) ma tante qualità vengono preconfezionate e poi riscaldate al mattino nei forni dei supermercati. Leggo che metà di questo pane diventa rifiuto poiché, in questo caso, i panificatori non debbono ritirare l’invenduto. Il risultato è che questo pane industriale non si conserva più e si indurisce molto in fretta”. C’è qualcosa che non va. Ogni giorno – dicono le statistiche – vengono prodotti in Italia 72 mila quintali di pane ma di questi ben 13 mila diventano immondizia, il che equivarrebbe a circa 120 mila euro al giorno che a fine anno diventano 43 milioni di euro.

Che fare? Non solo “non gettare”, ma riprendere una cultura del pane. Sostenere i panificatori artigiani, a Trento come a Pinzolo, in Fiemme come a Rovereto. Non ne facciamo il nome, ma ci segnalino i lettori i “loro” panificatori e li citeremo. Fanno un grande pane soprattutto per orgoglio professionale, come forma di resistenza contro un consumismo avvilente. Vanno conosciuti e sostenuti. E’ inutile valorizzare un Trentino che getta via il suo pane.

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