Fondo sanitario Sanifonds, parla il presidente Burli: “Orgogliosi e convinti della forma mutualistica”

La rivendicazione del ruolo sociale del fondo sanitario territoriale che oggi è un modello per altre Regioni

“Ma quale assalto al Servizio sanitario nazionale!”. Paolo Burli, presidente di Sanifonds, il fondo sanitario integrativo territoriale trentino, operativo da un paio d’anni, smesso l’aplomb istituzionale dato dal ruolo, torna per un istante il sanguigno e combattivo, ma sempre ben informato e documentato, sindacalista della Fiom, dalle cui file proviene. Nella sede di Sanifonds in via Ragazzi del ‘99, a Trento sud, nei pressi del casello dell’A22, mostra lo stesso ardore di quei ragazzacci che, mandati allo sbaraglio nell’“inutile strage” di cui quest’anno ricordiamo i cent’anni dalla conclusione, ebbero un peso decisivo.

Rivendica, Burli, con la stessa passione messa nelle passate lotte per l’occupazione e i diritti dei lavoratori, la “diversità” del fondo sanitario di cui è presidente, riconfermato nel maggio scorso fino al 2020, come già aveva fatto non sottraendosi al confronto con i promotori del dibattito di un paio di settimane fa a Trento sulla sanità tra pubblico e privato (vedi Vita trentina n. 45 del 18 novembre 2018).

“Quello che abbiamo costituito – attacca Burli – rappresenta un unicum nel panorama nazionale: un fondo sanitario intercategoriale, al quale tutte le categorie di lavoratori possono liberamente aderire, dalla inequivocabile impronta mutualistica”.

Costituito tra Provincia Autonoma di Trento, Associazione artigiani e Associazione albergatori, Confcommercio, Confesercenti, Cooperazione Trentina, Confindustria e sindacati, ricorda Burli, è il frutto di una scelta strategica che non intacca minimamente il Servizio sanitario nazionale (Ssn), con il quale, anzi, rimarca, Sanifonds vorrebbe staccare la prima convenzione. “Non c’è una, dico una, realtà privata con la quale ci siamo convenzionati. Nè abbiamo intenzione di farlo. Siamo orgogliosi e convinti della forma mutualistica che ci siamo dati, ben diversa da un’assicurazione sanitaria privata, che ci permette di venire incontro alle esigenze delle categorie in difficoltà”. Su questo versante, riconosce Burli, si potrebbe fare anche di più, ad esempio nei confronti di chi si dovesse trovare momentaneamente disoccupato e quindi impossibilitato a contribuire, insieme col datore di lavoro, al fondo. “Ma su questo stiamo lavorando e ci confronteremo con la nuova giunta provinciale”, che si è appena insediata.

La volontà è quella di rafforzare gli elementi di solidarietà tra le categorie e i caratteri di mutualità integrativa. Mutualità che in Sanifonds si traduce, ricorda il direttore generale Alessio Scopa, nella costruzione di una copertura collettiva, senza discriminare e senza selezionare il rischio, come fanno invece tipicamente le assicurazioni sanitarie private. In concreto, significa che quando si mette sotto l’ombrello di Sanifonds una determinata categoria di lavoratori, li si imbarca tutti, senza distinzioni. E’ il caso, per esemplificare, dei lavoratori “fragili”, per motivi diversi, dell’Azione 19, quelli per capirci che un tempo rientravano nel “Progettone”, impiegati in lavori socialmente utili. Ecco perché, osservano Burli e Scopa, non ha senso parlando di Sanifonds contrapporre sanità pubblica e sanità integrativa. “Semmai qui la contrapposizione si può stabilire tra Servizio sanitario pubblico e mutualità come la nostra, da una parte, e privato puro. La discriminazione non è tra chi ha una mutua e chi non ce l’ha, ma tra chi ha una copertura e chi invece deve pagarsi privatamente, ad esempio, le spese odontoiatriche”, chiosa Scopa.

Altro fronte caldo, ragiona Burli, è quello, delicatissimo e potenzialmente destabilizzante, considerato il trend demografico, è quello della non autosufficienza (a confermare l’attualità del tema, la decima edizione del Forum della Non Autosufficienza che si svolge a Bologna in proprio in questi giorni, il 28 e 29 novembre), dove Sanifonds potrebbe avere molto da dire. Così come nella costruzione di una alternativa per quelle categorie che mai potrebbero permettersi di pagarsi un’assicurazione sanitaria privata.

Rivendica, ancora, Burli il carattere territoriale dell’esperienza avviata in Trentino con Sanifonds, che gli è valsa l’attenzione di un’altra Regione autonoma, la Valle d’Aosta, dove “sta nascendo un’esperienza fotocopia”. E’ una scelta non scontata, realizzata a prezzo di accesi confronti, per usare un eufemismo, con i sindacati nazionali, che hanno attivato fondi sanitari integrativi nazionali di categoria, e mal digerivano la presenza di un pilastro sanitario integrativo costruito localmente. “Ma noi siamo più che convinti della bontà della nostra scelta”, afferma Burli, portando a sostegno anche la convinta adesione delle parti datoriali. “Quello che osservo nel consiglio di amministrazione di Sanifonds – dice – è una crescita complessiva del dibattito, anche culturale, su questi temi. Vedo una grande condivisione tra rappresentanti dei lavoratori e delle imprese”.

Finora i numeri gli danno ragione. Dalle 26 mila adesioni del 2016 si è passati alle attuali 46 mila (quasi); e l’obiettivo dichiarato è di arrivare a 50 mila. “Il numero dei contatti al nostro sito Internet sanifonds.tn.it ha superato quota 102 mila – dice Scopa -, segno che c’è una popolazione che guarda con interesse a Sanifonds”. Lo stesso interesse per questo modello costruito dalle parti sociali mostrato da altri territori: oltre alla Valle d’Aosta, già ricordata, che partirà con un proprio fondo nel 2019, Emilia Romagna, Lombardia e Veneto nell’accordo sull’autonomia firmato l’anno scorso hanno chiesto la delega per l’istituzione di fondi sanitari regionali; evidentemente, osservano Burli e Scopa, pur avendo modelli di offerta sanitaria profondamente diversi, condividono l’intuizione di restituire sul territorio, sotto forma di rimborsi di prestazioni, quello che sul territorio viene raccolto sotto forma di contribuzione.

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