Euromela e i sette nani

Dal 2007 un comitato di cittadini della val di Non propone soluzioni al problema dei trattamenti fitosanitari. I sostenitori della frutticoltura intensiva rispondono con proclami rassicuranti. Il profitto schiaccia i difensori della salute pubblica

Da una parte la frutticoltura intensiva della val di Non (Euromela). Dall’altra il Comitato per il diritto alla salute in Val di Non (i sette nani).

Ricorriamo alla favola per sdrammatizzare una convivenza difficile che nel medio termine potrebbe però trovare soluzioni praticabili se entrambe le parti sapranno affrontare un dialogo che finora è mancato.

La convivenza tra frutticoltura e ambiente, inteso come agro-ecosistema e quindi comprensivo anche della popolazione, è sempre esistito.

Da Terra Trentina (1939) si apprende che all’epoca in Val di Non e nel resto del Trentino si producevano 150 mila quintali di mele, 85 mila di pere, 35 mila di altra frutta.

Problemi e contrasti per inquinamento da antiparassitari erano del tutto assenti. Già nel 1951, qualche anno dopo la messa in commercio del DDT e del E 605 forte (estere fosforico), il prof. C. S. Candura dall’Osservatorio per le malattie delle piante di Bolzano tuonava: “Non si può e non si deve uccidere tutto”. Nel 1964, Remo Trentini dell’Ispettorato provinciale all’agricoltura di Trento, lanciava la cosiddetta “Campagna atossici” seguita pochi anni dopo dalla costituzione delle prime vasche per i trattamenti collettivi che avevano lo scopo di controllare gli interventi con prodotti chimici polivalenti nelle zone frutticole di pertinenza, eseguiti purtroppo a calendario fisso.

Nei primi anni ’70 Mario Del Dot, medico condotto di Tuenno, svolgeva una intensa attività di divulgazione sanitaria e di prevenzione tra i frutticoltori. La Golden delicious entrava di autorità nel regno d’Anaunia. A metà degli anni '70 cento bovine alimentate con erba e fieno di prato-frutteto morirono di colpo apoplettico in pochi giorni. Il Concopra, nato nel 1971, dava vita ad una campagna denominata “Frutta pulita”. La Provincia di Trento varava il “Progetto agricoltura ecologica”. Nel 1978 nasce l’Esat che ha come incombenza primaria la consulenza tecnica. Attività che nei primi anni 2000 sarà trasferita ope legis a S. Michele.

Il primo disciplinare di produzione frutticola integrata è firmato nel 1989. All’Istituto agrario riformato confluiscono ricerca, istruzione e assistenza tecnica. La produzione integrata è assunta come priorità assoluta e tale scelta si traduce in una notevole ed apprezzabile attività su più fronti incentrata sul corretto utilizzo dei prodotti fitosanitari. Concetti che si trovano codificati nella Direttiva Ce 128/2009 e nel Piano di Azione Nazionale di recepimento entrato in vigore il 13 febbraio 2014.

Il 19 febbraio 2014 si è svolta a Cles la XVII giornata tecnica dedicata alla frutticoltura: 10 gli argomenti trattati. Le relazioni hanno riguardato aspetti legati alla difesa fitosanitaria ispirati ai principi della frutticoltura ecosostenibile.

E’ del 1° marzo 2014 la presentazione da parte del Comitato per il diritto alla salute al tavolo di confronto e consultazione della Comunità di Valle della Val di Non di un documento intitolato “Agricoltura sostenibile e diversificata per ridurre l’uso di pesticidi e per migliorare l’ambiente della Val di Non”.

L’elaborato contiene 20 punti che abbracciano un ambito molto ampio. Tra i più significativi ed urgenti, limitandoci a quelli che riguardano il rapporto agricoltura-prodotti fitosanitari, ambiente e salute citiamo i seguenti.

Definire fasce di rispetto di almeno 30 metri dove sia vietato l’uso di pesticidi (termine improprio, ndr) in prossimità di siti sensibili. Incentivare l’impiego di varietà resistenti alle malattie e l’uso di siepi in prossimità delle aree residenziali. Convertire entro il minor tempo possibile la frutticoltura intensiva in frutticoltura biologica e/o biodinamica. Adottare indicatori ambientali per monitorare la contaminazione delle acque da pesticidi e quella da deriva in giardini pubblici, asili, residenze private poste in prossimità di aree agricole intensive. Il rapporto è l’ultimo di una serie di almeno 30 prese di posizione, denunce, contestazioni, ma soprattutto proposte che il Comitato ha presentato dal 2007 ad oggi.

Nel convegno che si è svolto il 20 marzo presso il Consorzio Cocea di Taio, intitolato “La nuova politica agricola comunitaria e la sfida della sostenibilità: incontro tra mercato e ambiente” si è parlato di strategie commerciali e possibili alleanze per aumentare la massa d’urto commerciale e quindi il reddito, ma al tema dell’impatto tra difesa fitosanitaria, ambiente e salute sono stati riservati solo proclami generici e dati parziali che i sostenitori della frutticoltura da reddito ripetono da anni fino a trasformarli nel claim di uno spot pubblicitario.

Tutte le favole finiscono bene. Nel caso della Val di Non alla contrapposizione tra portatori di interessi diversi e contrari è necessario sostituire un confronto aperto. Il Comitato non può pretendere di trasformare la frutticoltura intensiva in frutticoltura biologica e/o biodinamica. I promotori della frutticoltura da reddito devono però accogliere e realizzare alcune proposte del Comitato. La messa a dimora di meli resistenti che non richiedono trattamenti chimici deve avere la priorità. Anche se comporterà qualche sacrificio economico.

La Val di Non è stata abbondantemente aiutata dalla Provincia anche nel rinnovo dei frutteti colpiti da mal degli scopazzi.

Un gesto di solidarietà farebbe onore ai difensori di Euromela.

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