“La mia Pasqua, quel 13 gennaio di sette anni fa”

Vice presidente dell'Aido provinciale, c'era anche lui tra i 400 volontari da Papa Francesco

La sua Pasqua di resurrezione ha una data precisa: 13 gennaio 2012. Sono passati sette anni, ma quando ne parla Stefano Coccetti, 57 anni, si emoziona come se fosse successo ieri. Quel giorno di sette anni fa Coccetti si addormentava in sala operatoria, all’ospedale di Innsbruck, e si risvegliava con un fegato nuovo. Da allora si è fatto testimonial della donazione di organi, che promuove instancabilmente con serate, incontri nelle scuole e ovunque lo chiamino; ora anche con un ruolo ufficiale: è vice presidente provinciale dell’Aido, l’Associazione italiana per la donazione di organi, tessuti e cellule. C’era anche lui tra i 400 volontari dell’Aido presenti il 13 aprile scorso nella Sala Clementina in Vaticano per l’udienza di Papa Francesco, alla vigilia della XXII edizione della “Giornata Nazionale Donazione e Trapianto di Organi e Tessuti”. “E’ stato un momento davvero toccante, c’era un’atmosfera particolare, è difficile spiegarlo a parole”, racconta Coccetti. “Quando è stato il mio turno di dare la mano al Papa mi sono mancate le parole, ho formulato un breve saluto e basta”. Da Papa Francesco sono arrivate parole di grande incoraggiamento e conforto. “La donazione degli organi risponde a una necessità sociale perché, nonostante lo sviluppo di molte cure mediche, il fabbisogno di organi rimane ancora grande”, ha detto, sottolineando che la donazione non si esaurisce “nella sua ‘utilità’”, ma va vista “non solo come atto di responsabilità sociale, bensì quale espressione della fraternità universale che lega tra loro tutti gli uomini e le donne”. La donazione, ha concluso il Papa, significa “guardare e andare oltre sé stessi, oltre i bisogni individuali e aprirsi con generosità verso un bene più ampio”. Non avrebbe saputo dirlo meglio lo stesso Coccetti. “L’ho sperimentato di persona”. Lui alla donazione non aveva mai pensato, prima di scoprire la sua malattia e la necessità di trapianto. “Quel giorno di gennaio sono rinato. A 50 anni. Oggi vivo tutto in maniera diversa. Tutti i problemi di prima li relativizzi. E non c’è giorno in cui, tornando a casa in auto dal lavoro, non pensi: questo giorno avrebbe potuto non esserci. E invece c’è, grazie a un donatore”.

L’attività di donazione in Italia si sta consolidando. Nel 2018 le liste d’attesa sono calate per il terzo anno consecutivo, in particolare quella per il trapianto di rene. E sono quasi raddoppiate le dichiarazioni di volontà alla donazione degli organi. Merito del lavoro di associazioni come l’Aido e dell’ottimo stato di salute della Rete nazionale trapianti, istituito giusto vent’anni fa (1 aprile 1999), ma anche anche della relativamente recente possibilità di registrare la propria scelta al momento del rilascio o del rinnovo della carta d’identità, oggi assicurata in un numero crescente di Comuni. “Un passo avanti”, afferma Coccetti. “Ha favorito l’aumento del numero delle persone che hanno dichiarato la volontà di donare i propri organi”.

Al 31 dicembre 2018 le dichiarazioni registrate erano quasi 4 milioni e mezzo, oltre 1,9 milioni in più rispetto al 2017 (+76,15 per cento). Il valore della donazione ai fini di trapianto è diffuso nella comunità civile, i numeri (30 donatori per milione di abitanti) mostrano il volto di un’Italia solidale, capace di rispondere ai bisogni delle tante persone che si trovano in lista di attesa. Ma se più dell’80 per cento delle persone ha dato il proprio consenso, c’è anche poco meno del 20 per cento che l’ha negato. “Fare informazione corretta è un compito sempre più attuale e importante – osserva Coccetti -. Chi riceve un’informazione corretta sarà sicuramente portato a donare”.

Di recente, il Comitato nazionale di bioetica ha aperto alla possibilità che l’anonimato, indispensabile nella fase iniziale della donazione degli organi, possa essere rimesso “nella libera e consapevole disponibilità delle parti interessate, dopo il trapianto, per avere contatti ed incontri”, ad alcune condizioni. La questione sarà oggetto di un progetto di legge che l’onorevole Fabiola Bologna, medico ed esponente della Commissione Affari Sociali, ha intenzione di presentare. “Personalmente, sono favorevole all’anonimato sia prima sia dopo”, osserva Coccetti. “Essere vivo grazie a un trapianto è un’esperienza emotivamente veramente forte. All’inizio un po’ di curiosità c’era, ma col tempo mi sono convinto che non lo voglio sapere. Uno degli slogan della donazione è: ‘Io dono non so per chi, ma perché’. Voler conoscere a tutti i costi mi sembrerebbe andare contro la volontà del donatore”.

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