“Non chiamatelo NOT, ma PST”

Il neodirettore dell'Azienda sanitaria Paolo Bordon spiega: “Il nuovo ospedale sarà Polo Sanitario Trentino, a servizio di tutta la Provincia, non solo della città”

La nomina è del 18 aprile, a Trento è arrivato in maggio. Paolo Bordon, 52 anni, friulano, è stato scelto come nuovo direttore dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari dall’assessore Luca Zeni, su proposta di una Commissione che aveva ristretto una rosa di 6 candidati dopo aver vagliato 100 curricula. Negli studi della radio diocesana Bordon ha manifestato cordialità e rigore insieme, ma soprattutto una determinazione a stringere i tempi.

Lei, dott. Bordon, è arrivato a Trento in un periodo di grandi cambiamenti anche a livello nazionale….

Sì, c'è grande aspettativa ma anche parecchio entusiasmo nel voler ripartire con certe iniziative che erano state disegnate in modo corretto e ora possono trovare l'energia giusta per finalmente realizzate.

Viene dal Friuli, una realtà culturalmente diversa. Che cosa ha trovato?

In verità ci sono anche molte similitudini. Non solo perchè Udine, la mia città, è grande come Trento ed è pure circondata da montagne, anche se più distanti. Ma fra le due realtà c'è un tessuto comune, il forte senso di appartenenza ai valori di un territorio. E' una buona base di partenza anche per l'organizzazione dei servizi pubblici, che l'opinione pubblica considera per il loro valore. Una responsabilità in più per noi amministratori.

Non si può negare che la riorganizzazione della sanità sta creando problemi sul territorio, anche questa settimana ne abbiamo ripercussioni in Consiglio provinciale.

La Provincia ha lanciato già qualche anno fa una riforma nella quale aveva percepito che il problema più urgente era mettere ordine nel rapporto tra ospedali di valle e ospedali centrali.

Ora siamo quasi a regime con un sistema composto da sette attori, che hanno ciascuno un ruolo importante nella catena: dall'ospedale centrale, il Santa Chiara, agli ospedali di valle.

E' decisivo che questo apparente puzzle di ospedali costituisca un unicum in continuità, un sistema. Non è vero che un ospedale di valle non ha un ruolo strategico: è anch'esso un baluardo, un presidio per molti servizi di una realtà locale che vuole trovare sul posto le risposte.

Su questo si è lavorato. Forse un po' meno sulla valorizzazione del territorio e del dialogo del territorio con la rete ospedaliera.

E' mancata la comunicazione?

Non lo so. Certamente il modello organizzativo aveva evidenziato la necessità di chiarire chi-fa-che-cosa rispetto alla rete dell'emergenza, della chirurgia…ora questi temi sono stati chiariti e sono stati messi dei paletti. Quello che manca è la cosiddetta continuità assistenziale, ovvero il dialogo fra l'offerta ospedaliera e quella territoriale. Qui vorremmo gradualmente abbandonare la concezione del rapporto tradizionale ospedale-territorio per arrivare a guardare di più al processo, ai percorsi, indipendentemente da dove vengono portati avanti. L'Azienda – essendo unica – deve facilitare questo tipo di percorso continuativo, senza barriere di confini dati spesso da edifici.

A che cosa pensa?

Al percorso nascita, ad esempio. Finora c'è molta attenzione sul momento della nascita, del parto. In verità, il percorso – come avviene già in alcuni distretti – deve partire molto prima. Deve vedere impeggnati molti altri protagonisti come l'ostetrica sul territorio che in un rapporto personalizzato one to one con la paziente, coinvolgendo i medici, la accompagna anche dopo la nascita nei problemi che possono insorgere con il neonato ma anche con la famiglia. Vorremmo farci carico dell'intero percorso, non solo dell'evento tecnico, mettendo in relazione e in continuità poù figure professionali.

Un nodo cruciale che lei ha ereditato: il Nuovo ospedale trentino. Che cosa vi immaginate possa essere il cosiddetto Not?

Intanto va osservato che c' stato un cambio di denominazione – da NOT a Polo Sanitario Trentino – che è forse passato sotto traccia, ma che rappresenta anche un messaggio positivo nell'ottica di integrazione ospedale territorio. Non può essere soltanto un contenitore, ma un facilitatore di percorsi. Un luogo che può offrire i confort che l'attuale Santa Chiara non offre, le condizioni tecnologiche migliori per le prestazioni di eccellenza che un ospedale moderno merita. Abbiamo già una buona tecnologia ma contenuta in un edificio inadeguato alle risposte che questa comunità si aspetta.

Il nuovo Polo Sanitario Trentino deve favorire l'eccellenza, ma consentire anche l'integrazione con quei percorsi di continuità che il territorio richiede. Ha una missione non solo per la popolazione che gravita attorno a Trento, ma sarà l'ospedale per tutta la comunità trentina: vi saranno funzioni di alta specialità che risponderanno anche le esigenze di Cavalese, Cles o Borgo. Sarà l'ospedale di tutto il Trentino, non solo di un pezzo o di una città. Non sarà solo un ospedale ma un vero e proprio Polo sanitario, nella sua articolazione organizzativa con 24 sale operatorie specializzate, ma anche altri aspetti. Sarà consentita quell'umanizzazione delle cure che oggi è difficile anche al Santa Chiara per la sua logistica.

Cosa prevedete a proposito nel nuovo PST?

Pensiamo a stanze con due letti al massimo e un grande rilievo sarà dato alla personalizzazione del rapporto tra operatori, paziente e familiari.

E la struttura del vecchio Santa Chiara?

Ho così rispetto della comunità trentina che dico che sarà lei a decidere cosa fare di questa struttura imponente. Mi auguro che si apra un dibattito, ma non resterà fra le strutture a disposizione dell'Azienda.

Come vanno i rapporti con le associazioni dei malati?

Sono molto attive e rapprsentano un baluardo importante, lavorano bene. Parto dall'idea che l'Azienda è composta da dipendenti ma attorno a loro ruotano anche molti volontari che interagiscono e valorizzano i percorsi sanitari, in vari campi. Sono attori importanti che si interfacciano tra i professionisti e le famiglie.

Talvolta sembra prevalere la rivendicazione o la contrapposizione?

C'è spazio per il confronto periodico per verificare richieste che nascono da spinte dal basso. I volontari delle associazioni sono per me interlocutori quotidiani importanti, sentinelle sul territorio per cogliere preoccupazioni su aspetti da migliorare.

Nella sanità emergono sempre più difficili problematiche di ordine etico, che talvolta portano all'obiezione di coscienza. Che ne pensa?

Ce ne sono molte, sempre di più, di queste problematiche. Possiamo però avvalerci di un Comitato etico interno che aiuta la direzione e i professionisti. L'Azienda è un'istituzione laica che però abbraccia molti valori e deve saperli rispettare. C'è la voglia di capire e di aiutare chi si trova ogni giorno in queste situazioni, come il fine vita, l'obiezione di coscienza rispetto all'IVG… sono temi in cui il dibattito è sempre molto aperto.

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