“Nonno sano e felice”

«Denunciai che certi pediatri prescrivevano latte in polvere per andare a sciare a Madonna di Campiglio»

«Abbiamo la mortalità infantile più bassa al mondo, ma non importa a nessuno»

«La mia regola, imparata dagli scout? Eccomi, sono pronto a servire»

A “Radiografia” un medico si sente inevitabilmente a casa. A maggior ragione se parliamo di Dino Pedrotti, avvezzo al microfono e amico della radio diocesana. Un'autentica istituzione non solo della sanità ma dell'intera società trentina, pur non avendo mai scalato ruoli politici.

Il suo libro “Bambini sani e felici” in trent'anni ha raggiunto le ottantamila copie in quattordici edizioni. Praticamente sta in tutte le case dei trentini. Lei ritiene di essere stato un bambino sano e felice?

Sano sì, non sarei arrivato fin qui. Non voglio fare il bullo ma pochi mesi fa sono salito sulla Cima Tosa. Siamo vissuti durante la guerra. Famiglia religiosa. Sono nato in Piemonte perché papà era ferroviere, anche se a quattro anni ero già a Borgo. Però ho potuto girare gratis con il treno fino a poco oltre i vent'anni. Circa la felicità credo di aver vissuto una vita felice. Soddisfatto perché sono sempre convinto di quello che faccio. Ovvero: vedere il mondo dal punto di vista dei bambini.

La principale lezione famigliare?

Sobrietà e altruismo. Ma era tutto più scontato: allora non c'erano grossi interrogativi, non c'era la Babele di oggi. Anche se io sono poi vissuto di dubbi. Ho messo in discussione la pediatria anche a livello nazionale, sono stato un po' la pecora nera, il “Pierino” della neonatologia. Ricordo ad esempio la mia battaglia sul latte in polvere: mi sono permesso di denunciare che certi pediatri prescrivevano latte per andare a sciare a Madonna di Campiglio (pagati dalla case farmaceutiche, n.d.r.) a spese delle mamme italiane.

Perché scelse Medicina?

Ero un tipo curioso. A dieci anni conoscevo tutte le costellazioni. Ho fatto una prima laurea in Scienze naturali e mi arrivò l'incarico di docente all'Istituto Magistrale. Ma non vi andai perché alla visita militare sbagliarono diagnosi decretando che avevo il cuore troppo grosso. Così risparmiai due anni e allora mi iscrissi a Medicina a Pavia: dieci anni con la specializzazione in Pediatria. L'allora direttore dell'Ospedale infantile di Trento, Giuseppina Bassetti, nel 1961 mi offrì il posto.

Certo che negli anni i rapporti con le autorità sanitarie sono andati cambiando…

Devo ringraziare l'ex direttore sanitario Niccolai con cui ho avuto campo libero. Siamo partiti con una mortalità infantile da ultimi in Europa, negli anni Sessanta avevamo una mortalità del 45 per mille, ora siamo al 2 per mille, la più bassa al mondo. Se in Trentino avessimo i più bassi livelli di mortalità per tumori la notizia andrebbe a finire dappertutto. Il primato neonatale non interessa.

E non le è mai stato riconosciuto?

E' arrivata l'Azienda Sanitaria, poco prima della mia pensione, e mi ha detto: “Ha fatto questo, bene! Da adesso in poi ci pensiamo noi”. Hanno fatto di tutto per rovinare quello che è stato fatto.

Un esempio della “dilapidazione”?

Ridotti di un terzo il numero dei medici. Ne avevo dodici e siamo passati ad otto, la metà del personale di Bolzano. Poi c'è stata la divisione dei dipartimenti in materno e infantile, quando in tutto il mondo sono uniti. Stanno facendo grande confusione. Anche sulla questione dei punti nascita: la sicurezza è importante, ma i dati degli ospedali periferici sulle nascite degli ultimi trent'anni non avevano certo più morti in percentuale.

Trent'anni fa lei fondò anche l'”Associazione Amici della Neonatologia”. Motivo?

Siamo nati per velocizzare il trasferimento dell'ex Ospedalino al S. Chiara. Avevo contro il vescovo e don Tullio Endrizzi (assistente spirituale all'ex Ospedalino, n.d.r.) che mi dicevano: “Vergogna eliminare l'ospedale infantile che è un'istituzione”. L'associazione è nata per quello. Poi abbiamo iniziato a lavorare in Vietnam, Cambogia, Laos dove, in quindici ospedali, stiamo esportando le nostre modalità.

L'approccio ai bambini in tanti anni di “semina” è andato mutando. Lei ne ha ricavato una storica regola delle tre opzioni. Ce la riassume?

Prima del Sessantotto il bambino era considerato un oggetto di proprietà: “Taci tu che non capisci nulla!”. Altra reazione estrema è quella dell'epoca dei bambini pochi e viziati, oggetto di piacere e di soddisfazione: “Purché tu stia zitto, fa' pure ciò che vuoi”. Terza ipotesi, quella razionale, del dare voce ai bambini e interrogarsi sul perché del loro comportamento. Abbassarsi al loro livello, osservare il mondo alla loro altezza.

In questa scoperta costante, cosa c'è dello scout Dino Pedrotti?

Lo scoutismo è eccezionale. Nel giugno 1945, appena finita la guerra feci il primo campeggio scout. La cosa più interessante è stato guidare a cinquant'anni, con due figlie quindicenni, il “noviziato”, rimettendomi in gioco: siamo andati a Taizé, Lourdes, in trekking sulle orme di san Francesco. Ho cercato di mettermi nei panni dei giovani ed ho capito che sono quello che hanno avuto in famiglia, sono frutto dell'educazione ricevuta.

Le parole d'ordine scout che le hanno fatto da guida?

Eccomi, sono pronto a servire. Alzarsi al mattino con questo spirito vuol dire partire con il piede giusto.

Senza etichette di fede?

Non faccio distinzioni tra Emergency e Madre Teresa. Quello che fa anche il vescovo Lauro quando parla di un Dio capovolto, no?

Lei ha scritto una lettera a monsignor Tisi invitando la Chiesa a mettersi nei panni dei bambini. Ovvero?

Agire non in nome di Dio, ma nel nome del bambino. Prendiamo la famiglia: non può restare unita perché altrimenti si va all'inferno, ma perché guardo al bambino, il protagonista più debole. Ed è il bambino che vuole che il papà e la mamma siano uniti.

Necessariamente papà e mamma?

Ma chiaro! Normalmente un bambino desidera avere una famiglia con un padre e una madre con i rispettivi contributi. Il cervello di un bambino è fatto apposta per elaborare i due messaggi e nulla è più importante dell'equilibrio. Diversamente andiamo nelle eccezioni.

Ai genitori suoi allievi su cosa insiste?

Sono saturati di informazioni. Ma bisogna far sì che siano più responsabili. Devi rispondere a tuo figlio in modo tale che quando avrà vent'anni dica: sei stato per me un genitore.

Quale voto dà al papà Dino Pedrotti?

Sufficiente. Sono invece un nonno molto disponibile per i miei quattro nipoti: andiamo spesso in montagna insieme. L'ultima volta al più piccolo, Tommaso, quindici anni, spiegavo che guardando una stella alpina dobbiamo sempre vedervi dietro un bambino che ci chiede di non raccoglierla.

Lei l'ha mai fatto?

Un tempo sì, oggi non più.

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