La follia della guerra

Il libro di Andreas Latzko, ufficiale ungherese, racconta la prima linea ma anche la follia dei soldati ricoverati, l’onnipotenza di certi generali, la difficoltà del ritorno a casa

“Un’insalata di persone”. Ecco cosa va a comporre quella massa di uomini costretta nelle trincee, in attesa della granata o falcidiata dalle mitragliatrici in campo aperto. Se c’è un’immagine che restituisce nel profondo l’humus di “Uomini in guerra” di Andreas Latzko appena pubblicato da Keller, con una nuova traduzione di Melissa Maggioni, può essere questa. Merito dell’editore roveretano è di aver tolto dall’oblio il romanzo in sei episodi, o i sei racconti, non fa differenza, che l’ufficiale ungherese di origini ebree, arruolato nell’esercito austro-ungarico e mandato a combattere sul fronte dell’Isonzo, scrisse nel 1917, in forma anonima, quando si trovava in Svizzera, convalescente dopo aver contratto la malaria. L’opera fu un successo editoriale, di pubblico e critica, venne tradotta in 19 lingue benché bandita dai Paesi in guerra. In seguito il libro fu mandato al rogo dai nazisti, inabissandosi.

È un lavoro potente, in alcuni tratti surreale ma anche lirico, un grido di denuncia nei confronti della guerra, di una forza straordinaria, che creò non pochi problemi all’autore. Latzko negli anni scrisse altre opere, fuggì negli Stati Uniti dopo l’ascesa di Hitler al potere e morì a New York, in povertà, nel 1943.

“Uomini in guerra” racconta la prima linea ma anche la follia dei soldati ricoverati come l’onnipotenza di certi generali che seduti al tavolino di un Kaffeehaus mandano al massacro centinaia di uomini per volta e il ritorno del contadino al paese natio dove la vita non sarà più quella di prima perché la guerra ha lasciato sul suo volto segni indelebili. “La cosa più bella – riflette un soldato chiamato 'il filosofo' – è il silenzio. Quando si è di stanza là sulle montagne, dove ogni sparo viene buttato cinque volte di qua e di là, e poi all’improvviso arriva il silenzio, non un fischio, non un gemito, non un tuono, nient’altro che il magnifico silenzio, che si può ascoltare come un brano di musica…”.

Lo scrittore e giornalista austriaco Karl Kraus, che nel testo teatrale “Gli ultimi giorni dell’umanità” raccolse il suo pensiero critico nei confronti della guerra, scrisse a proposito di “Uomini in guerra”: “Un grido e una testimonianza importante sulla Grande Guerra e sull’umanità”. Il roveretano Roberto Keller, riscoprendolo, ne ha fatto una perla del progetto “Confini” che racconta, attraverso la letteratura internazionale, la Prima guerra mondiale ma anche le sue conseguenze. Un progetto che, in occasione del Centenario, andrà avanti fino al 2018.

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