La solitudine per ritrovare il senso

Una silloge poetica dedicata al padre che le ha “insegnato che, nella solitudine, c’è la mente per comprendere la vita”. Annamaria Cielo (è nata a Rovereto e vive a Volano) ci consegna una nuova produzione in versi, “Solitudo”, che è una riflessione profonda sulla “volontà di costruire e ricostruirsi”. Con tenace insistenza si ostina ad andare controcorrente nel tentativo di capire se stessa e il mondo che la circonda. E la condizione per farlo – tentare, per lo meno – è la solitudine, intesa nella duplice e ambivalente condizione, di vuoto e di riempimento di quel vuoto. E il critico Mario Cossali, nel risvolto di copertina, con fine intuizione, cita un appunto dello Zibaldone in cui Giacomo Leopardi osserva che la solitudine è quel sentimento nel quale ciascuno di noi “ricupera sé stesso, ripiglia quasi carne e lena”. Così la intende Annamaria Cielo e il suo è un andare a ritroso nel tempo per ritrovare scampoli di senso validi e attuali nel vivere quotidiano. Ritorna, insistente, la figura del padre con rievocazioni dolcissime: “Posava due mele renette/ sopra il mobile da letto. / Entrava nel profumo/ e si piegava al sonno.” E ancora: “Padre. / Sorgente del mio andare. / Radice di rigore e vigore. / Pane della riflessione”.

È un’operazione di scavo interiore non indolore che richiede pazienza e radicalità, un agone il cui esito non è scontato. Per arrivare alla piena conoscenza di sé stessi e delle ragioni del proprio stare al mondo, e occorre per ciò silenzio e meditazione. “Solitudo”, appunto che non vuol dire estraniarsi nell’isolamento quanto piuttosto ritornare in se stessi –in interiore homine – ed è la condizione necessaria per poter ripartire, dal “mormorio dei vuoti”, per instaurare nuove, più autentiche relazioni (e proprio un libricino, riedito da poco, “Tacet” di Giovanni Pozzi, che è stato religioso cappuccino e docente di letteratura a Friburgo, auspica il buon tacer come condizione indispensabile per giungere alla conoscenza di sé e del prossimo). Ma non senza aporie, asperità, scontri, paura nel caso di Annamaria Cielo che parla di “solitudine ribelle” e in un distico di “Ira dolente e pure sapiente./ Tempo di nuove convergenze”.

E di certo le esperienze felici dell’infanzia sono in grado di rassicurare anche nei momenti inquieti che inevitabilmente tutti incontrano, quasi un’àncora di salvezza, l’indicazione di una via: “Padre. Madre./ Amo il vostro volto/ con cui sono cresciuta/…Amo le vostre mani/ come pane soleggiato/ levato alla preghiera-/ e il cibo che aspettava./ Amo la vostra tavola, buona di orto e di frutti/ -e a voce alta/ non sentivamo abbandono”.

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