Quel luglio a Srebrenica

Attraverso la finzione della narrazione il libro sa rendere ancora più vere e lucide quelle problematiche che sono le stesse di tutte le guerre

Diciannove anni fa, l’11 luglio 1995, accadde quello che può essere considerato come l’eccidio più efferato che si è compiuto nel cuore dell’Europa dalla fine del secondo conflitto mondiale: il massacro di Srebrenica. Migliaia di musulmani bosniaci assassinati brutalmente dalle milizie serbo-bosniache nell’indifferenza più totale dell’opinione pubblica internazionale. E nella più completa passività pure dei caschi blu dell’Onu che si trovavano in quei giorni in quei territori come possibile forza d’interposizioni tra le parti in guerra. Proprio qualche settimana fa il Tribunale penale internazionale dell’Aja ha condannato i reparti militari olandesi per l’inettitudine dimostrata in quel tragico frangente e per i gravissimi atteggiamenti fortemente omissivi nell’evitare la carneficina.

È possibile affrontare quell’indicibile avvenimento semplicemente con lo strumento della narrazione e del romanzo? Lo fa con sorprendenti risvolti evocativi un giovane scrittore, Marco Magini, nel suo romanzo d’esordio finalista al premio Calvino 2013 (“Come fossi solo”, Giunti, pagg. 216, euro 14). Lui che è nato nel 1985 e dunque all’epoca della strage aveva solo 10 anni, ha voluto fare un’operazione di ricognizione della memoria su quei fatti, non per esorcizzarli ma per collocarli nella giusta dimensione del ricordo collettivo. La memoria, il dovere di non dimenticare perché non si ripeta mai più. Si vede proprio che Marco Magini ha fatto propria la lezione di Primo Levi e ha voluto rivolgere lo sguardo e prestare attenzione a quei giorni, segnati da orrori compiuti da molte parti e quando – come scrive – “il solo modo per restare innocenti era morire”.

Rimane l’interrogativo del perché tutto quell’orrore sia successo, una cesura repentina, un cambio inaspettato delle relazioni tra le persone, dall’amicizia all’inimicizia, dall’incontro allo scontro cruento perché solo pochi mesi prima proprio nessuno si chiedeva “se la ragazza con la quale uscivamo – osserva uno dei protagonisti – fosse serba o croata, o se il compagno di squadra fosse musulmano”. Così la guerra cambia radicalmente tutto, stravolge la vita quotidiana, inabissa relazioni che sembravano consolidate e durature e quelli che fino a ieri erano rapporti pacifici di convivenza diventano repentinamente fonte d’odio e disprezzo. Sono diverse le tematiche che il romanzo mette in luce e il farlo attraverso la finzione della narrazione paradossalmente sembra rendere ancora più vere e lucide quelle problematiche che poi sono le stesse di tutte le guerre. L’insorgenza dell’inimicizia, la morte che fa strame dell’innocenza, il confronto soggettivo tra l’obbedire agli ordini impartiti o mettere al primo posto, pagandone le conseguenze, l’imperativo morale della propria coscienza. Marco Magini, che per motivi di lavoro ha viaggiato tra Canada, Stati Uniti, Belgio, Turchia ed India, lo fa con estrema naturalezza con l’intento retrospettivo di chi guarda al passato per conservare la memoria di quei giorni, perché non si ripetano, se possibile. Un bel libro. Una buona lettura per le vacanze.

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