“Ma il record non diventi ossessione…”

“Il Festival non dovrà essere soltanto una sfilata di campioni, un red carpet di stelle, ma testimonianza vera e forte di chi ha raggiunto qualcosa di grande ed è diventato un esempio per tanti. Nello sport come nella vita”. Le parole sono di don Daniele Laghi, consulente ecclesiastico diocesano del CSI e membro della giunta regionale del CONI, che, a pochi giorni dall'inizio della manifestazione, ci dice la sua sul tema che farà da filo conduttore all'iniziativa firmata Gazzetta dello Sport: il record.

Don Daniele, dal bimbo al campione: perché la ricerca della prestazione migliore affascina così tanto?

Fin da piccoli vogliamo raggiungere qualcosa che gli altri non riescono a raggiungere. Il record ha una doppia valenza: l'atleta che lo ha raggiunto in maniera “sana” diventa testimone, aiuta intere generazioni ad appassionarsi; quando poi arriva in maniera inaspettata, lo fa tornare bambino, riscoprire il piacere di raggiungere una metà e, con genuinità, di commuoversi. È la bellezza evangelica della sorpresa…

Ma il record può diventare anche ossessione e allora per raggiungerlo sempre poter valere tutto: mezzi illeciti, scorciatoie…

Il lavoro va fatto innanzitutto su se stessi per riuscire a fermarsi quando si comincia a levare paletti che sono fondamentali: il rispetto degli altri, della propria natura, del limite. La propria famiglia, ma anche quella dello sport (l'allenatore che è educatore…) giocano un ruolo fondamentale nel creare quell'humus positivo di educazione e valori che non può mancare nelle fondamenta di uno sportivo: se nessuno ti ha dato, difficilmente riesci a dare.

Una ricerca “positiva” del record, può essere invece occasione di crescita personale, di riflessione sui propri limiti. È d'accordo?

La vita sportiva è un piccolo lasso di tempo all'interno della nostra esistenza: non dimentichiamolo mai. L'ossessione – per la massima prestazione, per il proprio corpo… – è vero e proprio doping, diventa malattia, incrina quei tre pilastri che invece bisogna cercare di mantenere sempre in equilibrio: la testa, il corpo e il cuore. Nessuno partecipa solo per partecipare, sia ben chiaro, ma la sconfitta non deve essere solo afflizione e frustrazione. Deve essere aiuto a “riprendersi in mano”, a rimettersi in gioco con tutte le proprie energie. Nello sport il confronto con l'altro aiuta a lavorare su se stessi, l'incontro e la competizione ci fanno crescere come persone, diventare campioni nella vita.

Qual è il messaggio che vuole lanciare il Centro sportivo italiano?

Il CSI è un luogo di promozione sportiva, dove lo sport è adatto a tutti e non si esclude nessuno. Nato da una costola dell'azione cattolica porta con se i valori cristiani che ben si sposano con quelli deontologici del fair play, del rispetto per l'altro. Dialoghiamo con le istituzioni, cerchiamo di riallacciare i rapporti con le parrocchie e gli oratori. Andiamo oltre i numeri e le tessere, oltre il mero risultato: creiamo i presupposti per una competizione sana favorendo la partecipazione e abbattendo i muri che ostacolano l'integrazione culturale e religiosa. Valori che spesi nel quotidiano significano vivere con rispetto e attenzione verso il prossimo, verso il nostro fratello.

Per concludere, tornando al record. Ce n'è uno che l'ha particolarmente colpita?

L'atletica, in questo senso è emblematica. Il record è l'essenza della prestazione, quel millesimo di secondo sottratto al cronometro che ti permette di rompere quella barriera. Il record sorprende ogni volta, emoziona. Dall'altra parte, e lo spero, dovrà arrivare il momento in cui non ci saranno più record, in cui nessuno riuscirà a spingersi oltre. Lo sport deve tornare a essere umano e umanizzante.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina