Il rischio tecnocrazia e i volti di chi lavora

Nel traboccante programma di questa tredicesima edizione del Festival arancione su “Lavoro e tecnologia” non si trova un riferimento esplicito alla tecnocrazia. Ma andrà introdotta nei dibattiti e nelle riflessioni etiche per non perdere di vista il rischio che il dono della tecnologia diventi sopraffazione alienante e potere disumano. Come purtroppo accade.

La storia dello sviluppo tecnologico, nella ricerca mai esaurita di superare i limiti e favorire la crescita dell’economia, ci dimostra infatti quanto l’applicazione ben orientata della conoscenza abbia trasformato positivamente non solo gli standard produttivi ma spesso anche le opportunità occupazionali. Va considerata però anche la deriva tecnocratica, che subentra quando si perde di vista la finalità “creatrice” e umanizzante del lavoro, sintetizzata dall’espressione wojtyliana “Non è l’uomo per il lavoro, ma il lavoro per l’uomo”.

Se la spinta alla massimizzazione del profitto finisce per dimenticarsi del destinario di ogni attività produttiva, allora la tecnologia diventa dominio incontrollato, moderna schiavitù mascherata di progresso. Basta pensare alle teorie economiche fondate sulla crescita illimitata (oggi sconfessate dalle emergenze ambientali) o le soluzioni demografiche non accompagnate da una sana prospettiva antropologica.

Per quattro giorni a Trento c’interroghiamo sul “come” spremere dalla tecnologia risposte in grado di far crescere il lavoro (e l’economia), ma non va dimenticato il “perché” quest’investimento tecnologico viene perseguito. Nella pianificazione economica, ma anche nella costruzione sociale, vanno tenuti sempre presenti i volti e le storie di chi lavora. Soprattutto di chi lavora in forme ancora non garantite o precarie, o addirittura non ha lavoro, come avviene oggi per molti giovani, soprattutto al Sud.

Un esempio di come va ripensata certa trasformazione tecnologica è dato dalle produzioni delocalizzate governate da piattaforme digitali (crowd work) che “sfruttano” a distanza i lavoratori tenuti in condizioni passive, sotto pagate, alienanti. Altro che la ricerca di un lavoro creativo, almeno in parte partecipato e solidale!

Merita rileggere le pagine dell’encilica sociale “Laudato Sì” in cui Papa Francesco mette in guardia da questo vorace paradigma tecnocratico, slegato da una consapevolezza etica. Esso non danneggia soltanto l’ambiente, ma riduce “la capacità di decisione, la libertà più autentica e lo spazio per la creatività alternativa degli individui”. Il confronto di questo Festival trentino – arricchito dai contributi dell’”altra” economia e dal dovere dell’inclusione sociale – non deve dimenticare che “non qualunque lavoro è degno”.

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