“È finito un sistema pastorale”

Il vescovo Lauro: “Se è inceppato l’annuncio del Vangelonon è perché Dio sta dormendo, è perché stanno dormendo i discepoli”

La chiesa di San Pio X ha accolto sabato scorso 17 novembre in mattinata 350 persone per l‘assemblea pastorale della zona di Trento, che comprende anche gli ex decanati di Povo e Mattarello. C’erano i parroci delle 21 parrocchie di Trento, molti dei sacerdoti loro collaboratori, tanti laici, religiosi e religiose.

Introdotti dal vicario di zona don Claudio Ferrari e coordinati da Claudia Giordano della Parrocchia dei Solteri e da Rosa Sant’Agata di Canova, i lavori si sono sviluppati attorno alla riflessione d’apertura dell’arcivescovo Lauro Tisi.

Prendendo spunto da alcuni testi di Papa Francesco, richiamati anche nelle precedenti assemblee di zona, il vescovo ha messo subito il dito nella piaga, rilevando – come evidenziato anche dal documento finale dei recente Sinodo dei giovani – la scarsa rilevanza, oggi, delle parrocchie di città e, più in generale, della Chiesa che è diventata espressione minoritaria. E’ vero, ha constatato, la parrocchia “ha bassa significatività negli spazi urbani, il fiume della vita giovanile scorre ai margini della comunità senza incontrarla”. Se un tempo, nei paesi ma anche nelle parrocchie di città, il parroco era figura di riferimento, conosceva tutto di tutti e aveva ogni cosa sotto controllo (“e non è poi detto che fosse proprio un bene”), oggi abbiamo “zone abitate da qualche presbitero e da alcuni gruppi di cristiani dove non c'è più prossimità, non c’è più uno stretto rapporto presbitero-fedeli”. Ecco allora che “più che di parrocchie dovremmo parlare di zone abitate da chiese, da qualche presbitero e qualche gruppo di cristiani”. Un esempio? Trento Nord ha due parroci con 50 mila abitanti. E la situazione di Trento sud non è molto diversa”. “E se tutto questo fosse una provvidenza?”, si è chiesto con forza don Lauro, offrendo subito la sua risposta: “Questa è un’opportunità! Non possiamo pensare che in questo momento Dio abbia abbandonato la città. È finito un sistema pastorale, ma non è finita la possibilità di essere dentro questa città segni del Vangelo, segni di novità, bellezza e provocazione”. “Se è inceppato l’annuncio del Vangelo – ha proseguito – non è perché Dio sta dormendo, è perché stanno dormendo i discepoli, coloro che rispondono in modo mediocre, litigioso”. Ecco il sogno del vescovo Tisi: una Chiesa che si china realmente sui poveri, una comunità che se ne fa carico, dove si pratica la fraternità, “dove ci si tratta da fratelli e sorelle senza quel tasso di litigiosità a volte presente, che mi addolora”. Devono nascere da qui le buone prassi, come “servire il povero e accogliere lo straniero”: “Ogni consiglio pastorale pensi se i poveri sono al centro della loro vita comunitaria”. Non è che sia tutto da reinventare, come hanno mostrato i racconti delle buone prassi che già animano le varie realtà parrocchiali. Occorre però, ha esortato Tisi, scrollarsi di dosso un po’ di stanchezza, convocarsi attorno alla Parola per essere “segno reale di profezia e sacramento di Cristo”. Non tante celebrazione quante i preti trafelati riescono a offrire, ma tante sante messe quante sono le assemblee celebranti; non “riti frettolosi”, ha detto richiamando gli scritti di don Tonino Bello, ma “messe inquietanti, che scatenano passioni, provocano adrenalina”. Perché se vuoi costruire una barca, ha concluso citando Antoine de Saint-Exupery, “non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini”, ma dai loro “la nostalgia per il mare vasto e infinito”. E’ questa nostalgia di infinito che si deve provocare.

Dai gruppi di lavoro, costituiti nell’assemblea dopo le parole del vescovo, sono scaturite molte domande, ad alcune delle quali don Lauro ha risposto subito. Ha evidenziato il rischio della frammentazione e delle divisioni interne: “Ciò che mi preoccupa di più sono le spaccature nelle nostre comunità. Con le liti distruggiamo anche il bene che abbiamo. Per questioni da nulla, piccolezze…”, ha osservato. E alla domanda “Cosa si intende per povertà”, posta alla vigilia della Giornata Mondiale dei Poveri (19 novembre), ha risposto: “Definire il povero è pericoloso… Poveri sono quelli che, a causa del disagio economico, personale, familiare, non riescono più a trovare una ragione di serenità per la vita e non hanno una qualità di relazione dignitosa. Per questo sono ai margini. Poveri sono quelli che vivono ai margini”. “La povertà – ha aggiunto – è generata dal blackout relazionale: tra popoli del Nord e del Sud, all’interno dei contesti generazionali… La risposta è ricostituire tessuto relazionale, far dialogare i popoli, dialogare nelle famiglie e nei contesti sociali. La cura è la relazione, non è solo un fatto organizzativo. Ci vuole una struttura organizzativa come la Caritas, non dico di no, ma l’obiettivo è far sì che tutti i cristiani servano i poveri: non ‘il povero’, ma poveri con nome e cognome”. E a chi gli chiedeva come dare concretezza a quanto discusso e vissuto nell’assemblea di zona, don Lauro ha offerto indicazioni pratiche: si riprenda la discussione nei consiglio pastorali, ci si interroghi su cosa si vorrebbe dalla città e cosa si è disposti a dare, tutto questo lavoro inneschi il dialogo e il confronto all’interno delle comunità.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina