Porta a porta

Il vicario di zona don Sergio Nicolli rilancia l'esperienza di “Betania” per promuovere il lavoro di rete

“Anche a Rovereto emergono situazioni di grandi solitudini e di particolarismi; va fatto un lavoro educativo alla solidarietà e alla convivenza”

Don Sergio, è passato qualche giorno dalla giornata d’inaugurazione di “Betania” (vedi cronaca a pag. 22, ndr). Cosa le è rimasto nel cuore di questo progetto realizzato?

Mi è rimasta nel cuore la gioia di numerosissimi roveretani che hanno partecipato e che hanno visto rinascere una struttura cara alla loro storia e a tanti ricordi familiari. Tipo: “Vedi in quella stanza è morto un mio fratello che abitava qui”… “Qui dal Cramerotti venivano da ragazzi a farci aggiustare la bici o le moto”…

L’inaugurazione è sempre un punto di partenza, qualcuno però ritiene che questo coworking ecclesiale possa essere applicato anche altrove… che ne pensa?

Nel nostro Trentino molte associazioni e gruppi si occupano delle diverse forme di povertà; credo che vada incoraggiato il fatto di trovarsi vicini, porta a porta: per favorire lo scambio, il mettersi in rete, il coordinamento delle iniziative, oltre che per conoscersi e stimarsi a vicenda.

A Betania trova posto il “Cantiere Famiglia” che esprime un lavoro d’insieme dei quattro decanati già avviato. Chi e che cosa si realizza in questo cantiere?

Cantiere Famiglia si propone di accompagnare e sostenere con volontari adeguatamente formati, professionisti e non, percorsi fragili di persone e coppie in difficoltà nella vita affettiva e familiare.

Che rapporto ha la comunità cristiana con le realtà “laiche” della città della Quercia? Dove si potrebbe migliorare ancora il dialogo?

Le realtà che “abitano” Betania sono per vocazione inserite nel territorio e, pur nella loro specificità e autonomia, operano in stretta collaborazione con i servizi sociali e con le istituzioni che si occupano di fragilità. È andata crescendo la stima reciproca e una sinergia importante per l’efficacia del servizio. Per esempio il Fondo decanale di solidarietà è in abituale dialogo con l’Itea, con Dolomiti Energia, con i servizi sociali del Comune e con altre istituzioni per agevolare la soluzione di problemi sospesi con inquilini e utenti in difficoltà.

Quando si parla di pastorale urbana per le grandi città si colgono forse problemi (anominato, solitudini, pendolarismo, chiusure) che a Rovereto si sentono meno. O no?

In parte sì, a Rovereto si avverte una maggiore tradizione di coesione e di solidarietà; è vero però che emergono anche situazioni di grandi solitudini e di particolarismi; va fatto un lavoro educativo alla solidarietà e alla convivenza. La “piazzetta della solidarietà” (così l’abbiamo chiamata) che sta al centro del complesso appena rimesso a nuovo, e che costituisce un punto di passaggio aperto al pubblico, può diventare un luogo di incontro, di scambio e di relazioni tipiche di un villaggio. Il bar bianco, che si affaccia e occupa in parte lo spazio della piazza nella buona stagione, può essere una ulteriore opportunità.

Come vede la dimensione di Zona nella Chiesa trentina del futuro?

È già da qualche anno che i quattro decanati della Vallagarina hanno cominciato a fare insieme alcune iniziative e sentiamo che questa è la dimensione giusta della vita ecclesiale; riconosciamo però che, anche a causa della diversità dei territori della valle, per alcune iniziative è giusto che i gruppi di parrocchie si organizzino anche con una certa libertà, a seconda delle esigenze e delle priorità (per esempio la Missione al popolo che il decanato di Rovereto sta preparando.

Lei è sempre stato molto attento alla dimensione della relazione umana, dell’ascolto familiare. Quali sono i principali ostacoli oggi a questa priorità evangelica nelle nostre comunità?

L’ostacolo principale è dato dall’estensione dei territori e dalle comunità numerose… e il tempo delle giornate si restringe sempre più a causa della molteplicità delle cose di cui occuparsi. È faticoso per noi sacerdoti avere relazioni significative con tante persone. Dobbiamo però tener fede a due attenzioni. Da una parte non rinunciare a vivere relazioni forti con un certo numero di persone: i laici che collaborano più da vicino, le persone che incontriamo in occasione di alcune celebrazioni: ad esempio i funerali, occasioni di un rapporto “speciale”, la preparazione al matrimonio, al battesimo… Inoltre dovremmo essere “diffusori” e testimoni concreti di relazioni. L’impegno principale della comunità dovrebbe essere l’attenzione alle persone, soprattutto le più fragili.

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