“Qui si costruisce la Chiesa del futuro”

La “consigliera” Claudia Giordano: “Forse dovremo osare un cambiamento delle modalità sicure e abituali e mettere in campo tutta la creatività di cui siamo capaci per aprirci all’esterno”

Claudia Giordano ha rappresentato Trento nel Consiglio Pastorale Diocesano, partecipando al lavoro che ha portato il primo settembre all’abolizione dei decanati. Se dovesse spiegarne i motivi ad un “cristiano della domenica” che parole userebbe?

Sì, abbiamo affrontato la questione in più sedute. I 28 decanati esistenti non riuscivano più, per svariati motivi, ad assolvere la propria funzione. Nel corso del tempo l’esistenza delle parrocchie, dei decanati, delle Unità Pastorali e i loro Consigli hanno reso più complicata la comprensione dei ruoli e delle competenze riservate a ciascuno e ha generato anche confusione nei punti di riferimento. I decanati erano nati in tempi in cui la realtà ecclesiale e sociale era molto diversa. Ora, in una situazione storica completamente cambiata e in veloce evoluzione, era necessario semplificare anche le strutture mediante le quali la Chiesa si muove, in modo da avere degli organismi più leggeri, capaci di agire in maniera più snella e corrispondente alle nuove esigenze.

Parlare di zona pastorale per un territorio che coincide con il Comune capoluogo può sembrare strano. E’ un vantaggio rispetto ad altre più composite oppure no?

In effetti la zona pastorale di Trento è molto vasta e presenta problematiche proprie della città a differenza delle valli dove esiste una realtà socioculturale più omogenea legata anche molto di più alle tradizioni locali e al territorio. In città c’è indubbiamente più mobilità: le persone non sono più strettamente ancorate al territorio perché spesso vivono, lavorano, trascorrono il loro tempo libero in quartieri diversi. La complessità degli stili di vita porta anche a nuove forme di socialità più trasversali. In questo senso, la città potrebbe costituire una sfida anche per cambiare il nostro modo di essere comunità cristiana. Forse bisognerebbe osare un cambiamento delle modalità sicure e abituali che funzionavano in passato e mettere in campo tutta la creatività di cui siamo capaci per aprirci all’esterno e trovare nuovi modi di essere e di agire per trasmettere la gioia del messaggio evangelico.

Da che parte cominciare?

Bisognerà comprendere quali e quante siano le risorse e i carismi ancora nascosti, quanto si sia disposti ad esporsi e mettersi in gioco, quali modi di essere, quali cooperazioni e quali iniziative possano portare frutto e possano contribuire a rigenerare la fede in una società così secolarizzata, ma in cui è presente anche un forte desiderio di spiritualità. Su questo saremo chiamati a confrontarci nei prossimi anni chiedendoci quali modelli vogliamo conservare del passato e quali nuove modalità ci possano, invece, aiutare a crescere nella fede ed essere Chiesa missionaria, di servizio,di carità, di ascolto.

Quali elementi porterete all’attenzione del vescovo Lauro?

Probabilmente verranno evidenziate alcune paure e alcuni dubbi che inevitabilmente ogni nuovo percorso porta con sé, ma anche la consapevolezza della nuova responsabilità nella costruzione della Chiesa del futuro.

Lei vive Cristo Re, una delle aree più popolose formate da multi parrocchie e un multiparroco: come sta andando la pastorale nella nuova aggregazione? Può farci un esempio virtuoso dei passi compiuti?

Sì, siamo una multiparrocchia nata dall’unione delle parrocchie di Cristo Re, Sant’Apollinare, Santi Sisinio Martirio e Alessandro, Madonna della Pace, Santi Cosma e Damiano. Come tutte le novità, all’inizio c’è stata un po’ di perplessità, alcuni hanno espresso la paura di perdere la propria storia e identità parrocchiale. Fin da subito, però, già nella preparazione dell’accoglienza al nuovo parroco e al viceparroco, le nostre comunità hanno lavorato insieme. Questo ha permesso un primo approccio di conoscenza e di confronto.

E adesso?

Dopo un anno con il nuovo parroco, posso dire che pian piano si sta camminando per costruire un senso di appartenenza ad una comunità più ampia, salvaguardando però, anche la storia e l’identità delle varie parrocchie. Nell’ambito della comunicazione, per esempio, è nato un notiziario unico con un nuovo nome, ma che al suo interno ha conservato anche traccia dei precedenti notiziari di ciascuna parrocchia in un’ottica di unità nel rispetto della pluralità. Si stanno anche moltiplicando le iniziative che favoriscono “l’incontro” tra le varie comunità parrocchiali e questo in vari ambiti: catechesi, giovani, anziani, incontri sulla Parola.

Rimane qualche freno?

Qualche resistenza, qualche particolarismo, ovviamente, permane ed è legato probabilmente alla nostalgia del passato, a quello che la propria parrocchia ha rappresentato nella vita delle persone.

Cosa si aspetta dalla mattinata del 17 novembre?

Spero che possa essere un punto di partenza per avviare in tutte le comunità della Zona Pastorale di Trento, nei prossimi mesi, una riflessione su cosa significhi essere Chiesa del futuro e su come vogliamo essere Chiesa del futuro; sulla ricchezza del camminare insieme e in quale direzione; sulla costruzione di una comunità cristiana che rimetta al centro la Parola, che agisca nella carità e nella quale ognuno possa sempre sentirsi accolto.

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