“Mi chiamavano don Peppone”

“Diventare prete è sempre stato il mio unico desiderio. Ho limato poco la cattedra, ma ho consumato tante scarpe”

Mentre intervistiamo monsignor Ettore Facchinelli, 90 anni compiuti il 4 dicembre, il telefono squilla diverse volte: l’anziano sacerdote, dal suo studiolo in via Barbacovi, risponde con gentilezza, recita una preghiera, rassicura l’interlocutore sul suo stato di salute e segna sull’agenda un paio di appuntamenti. “Ogni giorno accolgo diverse persone per le confessioni. Sono contento di essere ancora utile”.

Il novantenne è molto orgoglioso della sua vita spesa per la Chiesa e per il prossimo. Nato a Sorni nel 1925, da una famiglia contadina, terzultimo di 14 figli, è entrato in seminario a 12 anni. “Diventare prete è sempre stato il mio unico desiderio. Avevo paura, però, perché la mia salute era molto cagionevole. Credo che il fatto di essere arrivato a compiere quasi un secolo sia un miracolo”, dice monsignor Facchinelli.

Dopo aver vissuto la paura degli “apparecchi”, i bombardieri americani, durante la Seconda Guerra Mondiale, don Ettore è stato ordinato nel 1949 e mandato ad Albiano come cappellano. La sua missione è poi proseguita per due anni a Lavis e, dal 1955, per 19 anni nel seminario minore, come direttore spirituale e poi come rettore. “Quello è stato un periodo di poche relazioni con il mondo esterno, confessavo gli studenti e li guidavo nella meditazione”, racconta il religioso. Le conseguenze degli Anni di Piombo, però, sono penetrate fin dentro le mura del seminario. “Per me quello è stato un momento di sofferenza, perché molte persone si sono allontanate dalla Chiesa. Io sono convinto che comunque essa rimanga il segno di Dio nel mondo: cambia il metodo, ma non la sostanza”.

La tappa successiva nella vita di monsignor Facchinelli è stata completamente diversa rispetto al “ritiro” del seminario. Nel 1977 è stato nominato parroco di S. Martino, ruolo che ha ricoperto per 31 anni: “un terzo della mia vita”. “Ho provato cosa significa essere prete tra i poveri”, ricorda don Ettore. “Quando mi sono insediato quello era un quartiere operaio, la miseria era ovunque, ma c’era tanta buona gente”.

Il trentennio come parroco è fatto di tanti incontri, di visite agli ammalati, di amicizie vere che continuano anche oggi. “Ho limato poco la cattedra, ma ho consumato tante scarpe”, dice con orgoglio il religioso. “Mi chiamavano 'don Peppone', perché non disdegnavo la compagnia di chi la pensava diversamente da me”.

Anno dopo anno don Facchinelli è diventato un punto di riferimento del quartiere. Nel portafoglio aveva la tessera di socio del “Circolo redicoi, reversi e policarpi” e nei primi anni Novanta il Club motoristi di S. Martino lo ha coinvolto nella benedizione delle moto, impegno che il prete novantenne onora ancora oggi.

I legami instaurati a S. Martino non si sono allentati neanche dopo il ritiro: fino al 2011 il monsignore ha continuato a celebrare la messa nella chiesa del quartiere. In occasione del suo compleanno, i residenti gli hanno organizzato una festa a sorpresa che ha commosso molto don Facchinelli.

“Sono felice della mia vita, non ho mai rimpianto di aver preso i voti e sono fiero di essere prete”, ci confida da dietro la scrivania. Ancora oggi non esce di casa senza la camicia con il colletto bianco. “Voglio che la gente mi riconosca, perché mi sento strumento e segno dell'opera di Dio”.

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