Virginia, la capotombola

In via Belenzani la signora Mosna ha “trascinato” con entusiasmo la vita del Centro Anziani. Il suo elisir di serenità

Una ventina d'anni fa, sfilata di Carnevale nel centro storico di Trento. Dal pubblico esce una signora che blocca il carro allegorico e chiede di parlare con un finto Dellai in fascia tricolore. “Signor sindaco, si fermi. Pensi anche per noi, pori diaoli, che sen chì strucadi…” (in riferimento all'angusta sede del Circolo Anziani di via Roma).

A raccontare il successo di quella garbata richiesta è Virginia Mosna, classe 1926 e argento ancora vivo addosso, che ci presenta con giustificata soddisfazione l'ampia sede di via Belenzani dove i “quattro gatti” di allora sono diventati qualche centinaio di soci. E lei che con la voce cristallina era già allora la capotombola, quella che “chiamava” i numeri per fare ambo o quaterna, testimonia come quello spazio si sia allargato, abbia visto nascere un bel coro, tanti momenti d'aggregazione culturale.

Col Centro Anziani ha visto allestire vari spettacoli offerti alla cittadinanza con testimonianze sul tempo che fu. “Io ho raccontato della croce al merito che i fascisti mi avevano concesso da ragazzina per le mie capacità sportive di caposquadra durante i saggi ginnici: “Guarda mamma, cosa mi hanno dato…”, disse trionfante a casa, dove però l'accolsero con freddezza perché i genitori volevano tenere un certo distacco dal potete politico.

Avvicinandosi ai novanta, Virginia non canta più e non guida la tombola ma il suo ruolo carismatico rimane. E' una trascinatrice, Virginia…? “In casa eravamo 13 fratelli, io ero la decima, e con otto maschi ho imparato a farmi sentire…”.

Proveniente da una famiglia contadina – “masadori” dei baroni Salvadori a Ravina – la signora Mosna si è poi dedicata alla famiglia, ma è rimasta vedova per due volte: “Ho davvero un bel ricordo di tutti e due i miei mariti – ci tiene a testimoniare – mi sono trovata davvero bene… ora da vent'anni sono sola, ma cerco di darmi da fare per gli altri…”.

Colpisce nella chiacchierata con Virginia il suo sguardo positivo sulla vita, elisir di serenità. “Non credo sia giusto piangersi addosso, lamentarsi continuamente. Per quei… quattro giorni che stiamo qui sulla terra”.

Da 40 anni vive ai “Casoni” ed ha visto cambiare volto al rione popolare di via Veneto. I vicini le vogliono bene, si fidano di lei, qualcuno le lascia anche le chiavi di casa.

“La guerra? Quello sì è stato un brutto periodo. Abitavo a Nave San Rocco dove ci siamo scavati un rifugio sotterraneo che spesso si allagava. Era zona di bombardamenti attorno al pont dei Vodi ed un giorno mio padre m'impedì di andare a vedere un tedesco che era stato decapitato dalla scheggia di una bomba”.

“Ma il brutto cerco sempre di non sentirlo, mi piace ricordare le cose belle, infondere fiducia. Tanto che mia figlia, oggi residente in quel di Padova, mi dice al telefono: 'Sai mamma, che t'invidio, per come sai prendere positivamente la vita…'”.

Amante delle parole crociate (“un'amica mi porta le riviste di seconda mano”), non rinuncia alla lettura del quotidiano e alla partita giornaliera a briscola, tressette, scopa. La chiamano per l'ultimo scartino le amiche di via Belenzani, ma lei si affretta perché nel tardo pomeriggio deve passare anche al Circolo anziani di San Giuseppe: “Un'amica si è ammalata e mi ha chiesto se posso dare una mano per distribuire i panettoni…”. Buon 2016, Virginia, il 21 agosto ci ricorderemo di lei. “Spero di ricordarmi io di festeggiare…”, commenta con l'ultima battuta.

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