Clima: gli impegni assunti non bastano, occorre cambiare rotta. E presto

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Lo stato di salute del clima e gli scenari attesi che sono stati descritti dai vari rapporti scientifici presentati alla Conferenza ONU sul Clima (COP24) stanno creando senza dubbio un certo scompiglio e, forse, persino imbarazzo tra i delegati presenti a Katowice in rappresentanza dei Paesi di tutto il mondo. L’obiettivo principale della COP24 rimane quello di definire le regole del gioco, cioè le condizioni che consentiranno di rendere operativo l’Accordo sul Clima di Parigi e in particolare per una serie di questioni tra le quali le condizioni di trasparenza, le politiche di adattamento, la riduzione delle emissioni di gas serra, i finanziamenti necessari e il trasferimento tecnologico.

La sensazione tuttavia è che i rapporti presentati dagli scienziati abbiano spostato la priorità: il tempo sta infatti per scadere. La velocità del riscaldamento globale in corso e il ritardo dell’azione della comunità internazionale nel ridurre le emissioni di gas serra, stanno rendendo sempre meno probabile il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Non solo, ma che stiano crescendo i rischi degli impatti già in corso sulla vita degli esseri umani e sugli ecosistemi naturali.

Il rapporto provvisorio dello stato globale del clima, presentato dall’Organizzazione Mondiale della Meteorologia (WMO), indica come il 2018 sia orientato a risultare il quarto più caldo dall’inizio delle osservazioni. L’estensione minima dei ghiacci del Mar Artico, raggiunta nel mese di settembre, è stata inferiore del 28% rispetto alla media. Analogamente l’estensione del ghiaccio marino Antartico è stata inferiore alla media per l’intero corso dell’anno. 

Numerosi sono stati gli impatti degli eventi meteorologici estremi che anche nel 2017 hanno contribuito a molte perdite umane e a danni ad infrastrutture ed ecosistemi. Gran parte dell’Europa ha subito un’eccezionale ondata di calore e di siccità tra primavera e estate. Danni e vittime sono state provocate dall’alluvione che ha colpito in agosto lo stato Indiano del Kerala, la più intensa dal 1924, e il Giappone, dove nell’isola di Shihoku sono caduti oltre 1000 mm di pioggia in sole 48 ore. La Grecia in luglio e la California in novembre, sono state colpite da incendi devastanti mentre piogge e venti eccezionali hanno colpito l’Italia a fine ottobre con numerosi danni, specie alle foreste del nord Italia. Un pessimo segnale arriva dalle misure delle concentrazioni dei principali gas serra che nel 2017 sono cresciuti ancora. L’anidride carbonica ha raggiunto il valore di 405,5 parti per milione e le stime per il 2018 ne indicano un continuo aumento che potrebbe raggiungere il valore di circa 407 parti per milione nel corso dell’anno, cioè il 45% sopra i livelli pre-industriali. 

Secondo le stime dello studio “Global Carbon Budget” nel 2018  le emissioni globali di carbonio raggiungeranno il massimo storico con un ulteriore aumento previsto di oltre il 2% determinato dalla crescita del consumo di carbone nel settore energetico, per il secondo anno consecutivo, e da una crescita del consumo di petrolio e gas, specie nel settore dei trasporti e per l’edilizia.

I maggiori emettitori nel 2018 si confermano la Cina (27%), gli Stati Uniti (15%), i 28 Paesi membri dell’Unione Europea (10%) e l’India (7%). Quasi tutti i Paesi hanno contribuito all’aumento delle emissioni globali, sia attraverso la crescita delle proprie emissioni, sia attraverso riduzioni più lente del previsto. Tuttavia, non mancano esempi positivi di Paesi che hanno ridotto le proprie emissioni nonostante l’economia fosse in crescita, come ad esempio nel caso di molte nazioni europee.

Per limitare il riscaldamento globale all’obiettivo di 1,5°C dell’Accordo di Parigi, le emissioni di CO2 dovrebbero diminuire del 50% entro il 2030 e raggiungere le cosiddette emissioni zero intorno al 2050. Siamo tuttavia molto lontani da questo obiettivo. 

Secondo l’Emissions Gap Report, gli attuali impegni volontari, assunti dai singoli Paesi, di riduzione delle emissioni di gas serra non sono assolutamente sufficienti a colmare il gap con le riduzioni necessarie entro il 2030 per cercare di mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5°C. Se nulla cambia appare inevitabile raggiungere un riscaldamento di 3°C a fine secolo con conseguenze inimmaginabili per il pianeta. La stima è che occorra triplicare gli impegni di riduzione delle emissioni per stare sotto 2°C e, addirittura, quintuplicare gli impegni per stare sotto 1,5°C.

L’impresa appare titanica eppure non manca l’ottimismo. I trend energetici stanno infatti cambiando rapidamente, con l’uso del carbone in calo in molte parti del mondo e ancora al di sotto del livello massimo del 2013 a livello mondiale, e un boom dell’energia eolica e solare. Ma questo trend non è ancora sufficiente per invertire le tendenze globali delle emissioni. C’è ancora tempo sufficiente per affrontare il cambiamento climatico se gli sforzi per ridurre le emissioni di carbonio si espanderanno rapidamente e drasticamente in tutti i settori dell’economia. Abbiamo bisogno di una politica forte e di un sostegno economico per spingere verso una transizione energetica globale e ridurre le emissioni, in particolare nei settori dell’energia e dei trasporti, degli edifici e dell’industria. Un impegno che coinvolge la politica, i settori privati e noi cittadini. Si tratta di un’autentica conversione del modello di consumo e di produzione. Staremo a vedere nei prossimi giorni se ci sarà la lungimiranza necessaria da parte di tutti i Paesi riuniti per cambiare la rotta.

Roberto Barbiero

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