Parola di senatore

Dai 101 del 1981, i “fedelissimi” della Marcialonga sono rimasti in 11. E quel pettorale giallo li ammanta sempre più di un'aura mitica…

Anno 1981, 25 gennaio, decima Marcialonga. Per la prima volta al via, subito dietro ai migliori, c'è un folto gruppo di fondisti con il pettorale giallo. Di quei primi 101 “senatori” – una trentina nei primi anni duemila, quindici di cinque anni fa – oggi, alla vigilia della quarantatreesima edizione, ne sono rimasti in undici: Costantino Costantin (1948) e Ivo Andrich (1949), Luigi Delvai (1943), Armando Zambaldo (1943), Giovanni Mariani (1948), Aulo Avanzinelli (1940), Marco Aurelio Nones (1948), Odillo Piotti (1943), Fabio Lunelli (1943) e Giuseppe Davarda (1942), assieme all'inossidabile Luciano Bertocchi, classe 1933.

Era stato proprio lui a proporre agli organizzatori di premiare coloro che avevano partecipato a tutte le edizioni della granfondo con una posizione di favore in partenza e un pettorale speciale, che a più di trent'anni di distanza li ammanta sempre più di un'aura mitica.

Chi li supera porta sempre grande rispetto, il pubblico li acclama, li chiama per nome. E nonostante la carta d'identità, c'è ancora chi fa gara “vera” per primeggiare nella speciale classifica, fermando il cronometro su ottimi tempi.

“Alla partenza sono sempre teso, come fosse la prima volta, è sempre un'esperienza diversa. La Marcialonga è una unica…”, ci racconta Luigi Delvai di Carano, uno dei tre “senatori” trentini, 16 volte nei primi 100, quarto assoluto nelle categoria over 70 nell'edizione 2015. Ogni anno, Luigi macina 1.500 chilometri sulla neve. “Con il nostro sci club ogni inverno partecipiamo a una gara all'estero. Lo scorso anno in Francia, quest'anno, a metà febbraio, in Estonia”.

Non solo Marcialonga, quindi. “Ma la prima volta non si scorda mai e il ricordo resta indelebile”, riprende Delvai che vorrebbe riuscire a gareggiare almeno fino a quando il nipote, classe 2000, farà il suo esordio nella gara “dei grandi”. “Oggi tante cose sono cambiate, c'è più agonismo, la gente si cronometra, cerca la prestazione. Sono rimasti in pochi – conclude – quelli che la fanno come semplice divertimento”.

Quello che non cambia, però, è il rispetto per i “senatori”. “Quando ci sorpassano stanno molto attenti, ci salutano, ci incitano”, racconta Marco Aurelio Nones di Castello, artista del legno con la passione innata per lo sci nordico, che ci risponde al telefono poco dopo una sciata di ricognizione sulla prima parte del percorso. “Mi chiede se dopo 42 volte non sono ancora stufo? Ma certo che no, ogni volta è un'emozione differente, la neve è diversa, la scelta della sciolina complessa…”, sottolinea. “D'inverno mi alleno un giorno si e uno no, con un'andatura tranquilla, come quella della gara. I tempi li facevo da giovane, ora non li guardo nemmeno più: se sto bene e se Dio vuole, mi piacerebbe arrivare a correre la cinquantesima”, commenta ancora Nones che ricorda perfettamente la sua prima Marcialonga: “Avevo 22 anni ed ero uno dei più giovani perché potevi correre dai 21. Mi ero pure fatto crescere i baffi per sembrare un po'meno 'ragazzino': fa sorridere pensarci ora che sono tra i più anziani, no?”.

A fianco di Delvai e Nones, sotto lo striscione di partenza, dopo 42 edizioni, mancherà però quest'anno l'ultimo “senatore” fassano. È lo stesso Giuseppe Davarda ad annunciarcelo. “Mi dispiace veramente tanto, quest'anno sono stato poco bene e devo rinunciare, mi piange il cuore”, ci spiega con grande tristezza a pochi giorni dalla gara, precisando però che – fino a domenica – resterà ufficialmente ancora un “senatore”.

Lo dice con l'orgoglio di chi sa bene cosa significa sfoggiare quel pettorale, presentandosi ogni anno al via con tempra di ferro e la determinazione a non mollare mai. Poi rilancia: “Lo dicevo ancora in tempi non sospetti, mi ha sempre affascinato provare a partire là in fondo, assieme a tutti i bisonti…”. Un appuntamento al 2017? Ci sarà tempo per pensarci.

Conclusa l'esperienza da “senatore”, restano i ricordi, tantissimi, da scriverci un libro. “Non mi considero un fondista ma ho sempre tenuto duro, per l'emozione di vedere il traguardo, ancora una volta. Servirebbe un rettilineo d'arrivo un po'più lungo per godersi meglio il momento”, dice serio. E poi, dopo un attimo di silenzio: “Sto scherzando eh… Settanta chilometri non le sembrano già abbastanza?”.

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