Afghanistan, fallimento anche per l’Occidente

Profughi afghani a Kabul. Foto Agensir

La tragedia senza fine dell’Afghanistan non è un film di buoni e cattivi. I buoni e i cattivi spesso si scambiano i ruoli. Solo le vittime sono sempre le stesse: bambini, donne, innocenti bombardati, uccisi, imprigionati, perseguitati, affamati, profughi. Che vengono magari lasciati morire in mare, rifiutati, calpestati, espulsi in nome dei valori della civiltà occidentale.  Quanta ipocrisia intorno alla parola “Occidente”. C’è stato un tempo in cui, durante l’occupazione sovietica dell’Afghanistan (1979-89), gli Stati Uniti, addestravano, finanziavano, armavano i fondamentalisti islamici perché combattessero i russi. Arrivavano da tutti i Paesi (e ai loro Paesi poi tornarono, copiosa semina di terrorismo in Africa e Asia). Osama Bin Laden, allora alleato degli americani, era il primo loro addestratore. Il tutto con l’appoggio del Pakistan.

Lo ricordò anche Gino Strada, fondatore di Emergency, a lungo coraggioso chirurgo di guerra in Afghanistan, recentemente scomparso. Poi Osama Bin Laden si rivoltò contro gli amici e organizzò l’attentato dell’11 settembre alle Torri gemelle di New York di cui ricorre il ventesimo anniversario (i cui responsabili furono per la quasi totalità sauditi, come Bin Laden: ma la fondamentalista Arabia Saudita è amica dell’Occidente). E Bush fece la guerra all’Afghanistan. Le persone non più giovani possono ben ricordare come fossero descritti e visti con simpatia anche dai nostri grandi giornali, smemorati, i fondamentalisti islamici che col loro radicalismo religioso combattevano il comunismo ateo sovietico. Eterno cinismo delle politiche internazionali e dei loro propagandisti. Non si chiedono mai “chi sono”, ma “a chi servono”. Terroristi, guerriglieri, dittatori, assassini, ladri, trafficanti di armi, speculatori della finanza, fondamentalisti di ogni tipo: se servono a noi sono buoni, se servono ai nemici sono cattivi. Naturalmente, come ogni sporco gioco, finisce poi per rivoltarsi contro i suoi stessi ideatori. Il fallimento della guerra in Afghanistan era da anni un dato di fatto. Quella disumana fuga a cui abbiamo assistito, e di cui ancora una volta hanno pagato il prezzo gli innocenti, doveva essere gestita in un altro modo.

Da insignificante osservatore di provincia, ne scrissi (mi si perdoni l’autocitazione, ma è per sottolineare che il fallimento era da tempo un dato di fatto risaputo) il 2 gennaio 2020 sul giornale Trentino citando la stampa internazionale. Nell’articolo “Afghanistan, le bugie rivelate” scrivevo che alla fine del 2019 il quotidiano Washington Post era riuscito a pubblicare, dopo tre anni di battaglia legale, duemila pagine di documenti riservati del governo americano sull’Afghanistan. In particolare 600 interviste rilasciate al Sigar (Special Inspector General for Reconstruction in Afghanistan), organismo del governo americano, da generali, diplomatici, funzionari Usa coinvolti nel conflitto. Peter Beaument, in un articolo sul quotidiano britannico The Guardian del 14 dicembre 2019, sintetizzava le tre verità, amare e terribili, che emergevano da queste interviste. La prima: l’opinione pubblica è stata costantemente imbrogliata dalle amministrazioni Bush, Obama, Trump sull’andamento della guerra, con la diffusione di dati e giudizi eccessivamente ottimistici. La seconda: in Afghanistan è stato creato, con una combinazione di arroganza e ignoranza, uno Stato violento, corrotto, non funzionante, e ciò ha rafforzato i talebani, nemici di questo Stato. La terza verità: i capi militari erano riluttanti ad ammettere, com’era evidente a tutti, che quella in Afghanistan era una missione impossibile. “Non sapevamo quello che stavamo facendo”, ha dichiarato in una delle interviste Richard Boucher, assistente Segretario di Stato americano per l’Asia meridionale e centrale tra il 2006 e il 2009. Ecco dove è finito il cosiddetto realismo dei cinici che consideravano ingenui e irridevano Giovanni Paolo II e i pacifisti che si opponevano alla guerra all’Afghanistan. “Non sapevamo quello che stavamo facendo” ammettono. Parole del 2019 di cui, in queste settimane, abbiamo avuto una nuova e drammatica conferma.

Servirà questo ennesimo disastro a cambiare le politiche occidentali nel Vicino Oriente? Dopo decenni di guerre sanguinose che hanno solo peggiorato la situazione, accresciuto il terrorismo internazionale, provocato una catastrofe umanitaria dietro l’altra? Questi i folli risultati dei cosiddetti realisti. La pace non è un sogno, ma l’unica via realistica per salvare l’umanità. Il Vangelo della pace non è un sogno: ma via, verità e vita. Come diceva Leone Tolstoj: “Basta capire la dottrina di Cristo per capire che il mondo, non quello dato da Dio per la gioia dell’uomo, ma il mondo organizzato dagli uomini per la propria rovina, è un sogno, un sogno dei più assurdi e orrendi, il vaneggiamento di un folle…”.

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