Club, 30 anni d’amore…

I servizi alcologici e i Club sono uno dei fiori all’occhiello della sanità trentina

Il Trentino, una tra le prime regioni in Italia per consumo di alcol, è anche la realtà che ha saputo costruire un sistema alcologico capillarmente distribuito sul territorio e capace di anticipare i tempi, dando vita già all’inizio degli anni Ottanta a una feconda collaborazione tra sistema sanitario pubblico e realtà del privato sociale. Una collaborazione che si è ampliata anche al lavoro di prevenzione dei problemi legati al consumo di alcol e di promozione della salute, come è stato ricordato in occasione della presentazione del n. 30 di Infosalute, il bollettino di informazione dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari, che celebra l’anniversario della nascita, trent’anni fa, dei primi Club alcologici territoriali (questa la nuova denominazione: allora si chiamavano Club per alcolisti in trattamento), primo embrione di quel sistema alcologico territoriale che è uno dei fiori all’occhiello della sanità trentina.

Insieme ai servizi di alcologia, i Club – 162 disseminati fin nelle più piccole valli – costituiscono una risposta a un problema, quello del consumo di alcol, che storicamente ha sempre avuto rilievo per la comunità trentina, sia per i numeri (in Trentino il 29% della popolazione adulta può essere considerato consumatore di alcol a maggior rischio: in Italia la percentuale è del 17%), sia per le conseguenze in termini di incidenti – stradali, lavorativi e domestici – riferibili al consumo di bevande alcoliche.

Eppure fino al 1984 la sanità pubblica non si occupava del cuore del problema alcol, cioè della dipendenza, ma si limitava a prendersi cura delle complicanze fisiche e, a volte, psichiche che l’alcol provocava.

Ci volle il fortunato incontro tra un gruppo di operatori sanitari e sociali sensibili al problema e uno psichiatra di Zagabria, il prof. Vladimir Hudolin, ideatore della metodologia ecologico-sociale dei Club, per far nascere in Trentino un movimento che in questi trent’anni ha offerto a moltissime persone l’occasione per smettere di bere e per cambiare, insieme alle loro famiglie, il proprio stile di vita; oltre a dare un contributo concreto alla promozione della salute. Trovando in questa azione una valida sponda nei servizi di alcologia dell’Azienda sanitaria, che negli stessi anni pure hanno fatto passi da giganti. “Pensiamo ad esempio all’attività nelle scuole, alle settimane di sensibilizzazione, alle campagne di prevenzione, agli incontri di formazione”, ricordava l’assessore provinciale alla sanità, Donata Borgonovo Re. Che ai Club riconosce anche un altro merito: l’essere diventati un punto di riferimento sul territorio anche per altre problematiche, occupandosi, negli ultimi anni, anche di altre dipendenze, come il gioco d’azzardo e il fumo.

Ma la carica davvero rivoluzionaria del “metodo Hudolin”, allora non compresa, la sottolinea l'intervento del prof. Fabio Folgheraiter. “L'idea guida di Hudolin – scrive – era in grado di ribaltare l'assetto organizzativo del 'sistema socio-sanitario' fino ad allora conosciuto. (…) Nel pieno dell'era delle vacche grasse, quando ancora il denaro scorreva, Hudolin ci mostrò come la salute non dipendesse dal denaro speso per i farmaci e per le terapie specialistiche”. La strada indicata da Hudolin e da lui stesso percorsa “assieme a migliaia di operatori e di famiglie” ha fatto crescere in Italia esperienze come quelle dei gruppi di auto mutuo aiuto attivi “in quasi tutti i campi delle fragilità familiari”.

Pure, non mancano le ombre; e il numero monografico di Infosalute ne dà correttamente conto. Ci riferiamo alla difficoltà del sistema alcologico territoriale trentino, evidenziata in alcuni contributi della pubblicazione, a intercettare le fasce di popolazioni più giovani, oggi più a rischio, e a radicare le famiglie dentro l’esperienza del Club. In merito il dibattito è quanto mai aperto. Tra le strade possibili, l’apertura dell’esperienza dei Club anche a famiglie con disagi non necessariamente legati all’alcol – dove il comune denominatore diventa la sofferenza, indipendentemente dalla sostanza o dal comportamento che la provocano – e la “suggestione” del FareAssieme, mutuata dal Servizio di salute mentale di Trento con i suoi ormai famosi “Ufe” (Utenti familiari esperti). Sperimentazioni, chiamiamole così, sono in corso a Rovereto e a Tione.

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