Praticanti, ma non discepoli

Illustrazione di Lorena Martinello

Domenica 27 settembre – XXVI Tempo ordinario A

Am 6, 1.4-7; Sal 145; 1 Tm 6, 11-16; Lc 16, 19-31

La liturgia di questa XXVI domenica ci mette davanti un’altra parabola graffiante, che Gesù racconta per far capire «ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo» (cioè a coloro che si credevano giusti e del tutto a posto nel loro modo di vivere la religione) che ciò che conta è il fare, non un’apparente obbedienza e una disponibilità ipocrita e inconcludente.

Gesù aveva già avvertito che non basta pregare, occorrono scelte concrete: «Non chi dice Signore, Signore entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio». (Mt.7,21). E in questa parabola dei due fratelli mandati a lavorare nella vigna afferma ancora lo stesso concetto. Il primo dei fratelli risponde che non ne ha voglia. Poi però ci ripensa, si pente e fa quanto gli è stato chiesto. L’altro invece dà subito la sua risposta positiva. Ma poi non ci va. Siamo di fronte a un figlio rispettoso del padre, che chiama addirittura «signore». E’ rispettoso forse per paura, perché incapace di dire un no a suo padre. Resta il fatto che la volontà del Padre non è compiuta. Questo figlio si accontenta di fare una dichiarazione verbale secondo il desiderio del Padre e non percepisce la sua incoerenza. E’ evidente che ciò che è raccontato accadeva al tempo di Gesù, tra i credenti giudei, ma succede anche oggi in mezzo ai cristiani, nella Chiesa.

Le parole di Gesù vogliono smascherare questi credenti che confidano nel loro frequentare le assemblee liturgiche dove risuona la parola del Signore, che partecipano a pasti col Signore mangiando e bevendo alla sua tavola (cfr. Mt 7,22-23; Lc. 13,25-27). Costoro saranno militanti, o se vogliamo praticanti, ma non certo discepoli. Grazie a questa parabola siamo invitati a discernere nei nostri giorni quelli che di fatto sono rappresentati dal primo o dal secondo figlio: uomini religiosi, che magari vantano meriti perché alla domenica non perdono una Messa, che sono catechisti e parlano, parlano… dicono si alla volontà di Dio ma quotidianamente non la realizzano: per loro è importante apparire, non fare! Ci possono essere figli di Dio che annegano in mezzo al mare e c’è stato anche qualche cristiano che s’è augurato: siano almeno un buon pasto per i pesci. Per troppi sono importanti le belle celebrazioni, magari sfarzose e dimenticano gli uomini che soffrono anche per le nostre ingiustizie. Così non si fa la volontà di Dio, e si dimentica che Gesù, da Dio si è fatto uomo in mezzo agli uomini, ai più fragili e maltrattati. Ci sono d’altra parte quelli che sembrano dire no a Dio, perché non si mostrano la loro appartenenza religiosa, poi invece la vivono nell’anonimato e nella quotidianità. Realizzano la volontà del Signore senza nominarlo e forse anche senza conoscerlo. «Perfetti anonimi per noi, ma che praticano la giustizia, amano la misericordia e camminano umilmente con Dio (cfr. Mi 6,8).

Ed ecco alla fine della parabola la battuta sferzante di Gesù: i pubblicani e le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli. Si, perché chi è ritenuto pubblico peccatore sente in sé il desiderio più o meno ascoltato di cambiare vita, desidera uscire fuori dal suo stato di peccato che gli altri disprezzano e condannano. Gli uomini religiosi invece, che appaiono osservanti ma hanno peccati nascosti, siccome tutti li venerano e tutti guardano a loro per il loro status, non vogliono assolutamente cambiare vita». (Enzo Bianchi) Chiediamoci, per finire, «chi sono veramente i praticanti? I «messalizzanti» , quelli che vengono a messa la domenica? Al tempo in cui in Europa dominavano il nazismo, il fascismo, il franchismo i praticanti erano più numerosi di oggi. Praticanti in che senso? La pratica del tempio o la pratica di cui parla Gesù nel Vangelo di oggi?» (M.Serentha)

Le nostre comunità cristiane si rendono conto che preghiera, liturgia e riti sono validi e graditi al Signore, quando sono finalizzati alla vita? Mi sento un autentico credente e praticante?

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