Viaggio ai confini dell’umanità

Il critico Colangelo: la bellezza di una storia che merita di essere raccontata e l'impegno civile a dare spazio ad un tema di strettissima attualità

Roma, qualche anno fa. Una folla inferocita esprime il suo odio verso i migranti. Lancia non solo insulti ma anche pietre. Destinatari: famiglie con bambini. Un uomo osserva. Sembra il ciak di un film che descrive in modo impietoso il sentimento dominante un tempo storico in cui l'emigrazione è diventata un fenomeno globale che interroga, divide, porta allo scontro e genera violenza ingiustificata. È una "fotografia" reale quella che racchiude il seme generatore della storia a cui Carmine Abate ha dato voce nel suo ultimo romanzo, "Le rughe del sorriso" (Mondadori, 2018) presentato martedì 30 ottobre alla libreria Ubik di Trento.

In mezzo a quel caos, lo scrittore rimase colpito da una bellissima donna, capace di rispondere a quella violenza verbale e fisica con un sorriso, non ironico né di sfida: enigmatico. Un sorriso che sembrava una di richiesta di comprensione. O addirittura una preghiera. Sorridendo in quel modo misterioso, le si erano formate rughe sottilissime agli angoli degli occhi e della bocca. L’autore ha cercato di scoprire quali segreti e sofferenze si nascondevano dietro di esse, e secondo il critico Colangelo, quello di Abate è un romanzo che coniuga la bellezza di una storia che merita di essere raccontata e l’impegno civile a dare spazio ad un tema di strettissima attualità, e per questo potrà diventare punto di riferimento quale testimonianza di resistenza culturale.

Abate attinge alla realtà, trasformando storie complesse in materia narrativa, all’insegna del suo marchio distintivo, il “vivere per addizione” che vede nell’inclusione e nella contaminazione di culture un arricchimento. Qui siamo oltre questa filosofia, ha evidenziato Colangelo, poiché dopo aver parlato dell’emigrazione del suo popolo, della sua famiglia e di se stesso, lo scrittore fa un passo in più: a Carfizzi, suo paese d’origine, l’asilo costruito negli anni Settanta è stato ristrutturato agli inizi del 2000, diventando Centro di seconda accoglienza per donne e minori, ed è lì che immagina sia stata appunto accolta la protagonista del romanzo. Sahra, giovane somala che vive nel centro calabrese con la cognata e la nipotina, un giorno sparisce senza lasciare alcuna traccia. Antonio Cerasa, il suo professore di italiano, inizierà un viaggio alla ricerca della donna e di Hassan, il fratello geologo misteriosamente scomparso, ripercorrendone al tempo stesso la drammatica storia: partita da Ayuub – villaggio della Somalia che ha un legame con il Trentino attraverso l’opera dell’associazione “Acqua per la vita” fondata da don Elio Sommavilla -, Sahra è infatti arrivata in Italia dopo aver sperimentato la fuga attraverso il deserto e le carceri libiche.

Mentre seguiamo l’insegnante in luoghi noti per fatti di cronaca associati alla migrazione come Riace, Rosarno e Lampedusa, dove è ambientato l’ultimo capitolo, emerge l’armonia di elementi che danno qualità al romanzo: “la complessità affascinante dell’intreccio, che sa mescolare realtà e invenzione, l’esemplarità dei personaggi, disegnati con mano attenta a cogliere tutte le pieghe dei loro sentimenti, lo stile inconfondibile, che qui si fa ardito, mostrando che le storie acquistano forza anche attraverso il linguaggio”.

“Raccontare la vita di persone in carne e ossa – ha commentato Abate – significa ricordare che i 1500 morti in mare dall’inizio dell’anno non sono numeri, e riconoscere loro la dignità di esseri umani che vivono, lavorano, amano come noi e partono con il sogno di una vita migliore”. Uomini e donne che rivendicano il desiderio e diritto di vivere e godere della meraviglia di essere al mondo che abita in ognuno. Perciò non a caso in apertura Abate cita Elias Canetti e il suo “raccontare, finché non muore più nessuno” come missione di ogni scrittore che voglia confrontarsi con la contemporaneità, e poi conclude con un pensiero di Alessandro Leogrande (1977-2017), l’autore de “La frontiera” (Feltrinelli, 2015): “Bisogna farsi viaggiatori per decifrare i motivi che hanno spinto tanti a partire e tanti altri ad andare incontro alla morte. Sedersi per terra intorno a un fuoco e ascoltare le storie di chi ha voglia di raccontarle, come hanno fatto altri viaggiatori fin dalla notte dei tempi”.

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