“Fra i poveri con lo zaino vuoto”

Lezhe, la città dove opera da 12 anni, che gli ha dato la cittadinanza onoraria per il suo impegno per le minoranze

Fratel Luciano Levri, marianista, originario di Fiavè, è dall’8 aprile scorso cittadino onorario di Lezhe, in Albania, dove da 12 anni svolge la sua azione pastorale in particolare accanto alle minoranze Rom ed Egyptian. Proprio questo suo impegno gli è valso il riconoscimento del Consiglio comunale di Lezhe.

Ricevendo la cittadinanza onoraria, nel giorno della Festa mondiale dei Rom, fratel Luciano ha voluto precisare che il riconoscimento non va tanto alla sua persona, ma all’opera che il “Centro S. Maria“ e la comunità marianista hanno compiuto in questi anni, e ai suoi collaboratori, oltre che agli insegnanti del doposcuola e dei vari corsi attivati. “Ma ringrazio soprattutto voi, bambini e ragazzi rom ed egyptian e voi genitori che avete reso possibile questa avventura che è diventata più grande di noi, e più grande delle nostre poche e povere forze”, ha detto, commosso.

Fratel Luciano, guardando indietro, quali chiavi di lettura trova di questa esperienza?

“Sono stati importanti gli aiuti, le adozioni fatte da parrocchie, famiglie, gruppi,associazioni. Sono stati importanti i progetti. Ma soprattutto è stata importante la relazione fra di noi”.

In che senso?

“Ci siamo sforzati di renderla paritaria (ma non so se ci siamo riusciti…). Si dice che la lotta contro l’emarginazione e la povertà è sempre l’incontro di due mani : quella che aiuta e quella di chi accetta l’aiuto. Io credo che manchi qualcosa a questa definizione. Noi missionari siamo stati troppo abituati a riempire lo zaino e andare a svuotarlo a chi ne ha bisogno. Io credo che qualche volta dobbiamo venire fra i poveri con lo zaino vuoto, per riempirlo dei valori che loro vivono e testimoniano”.

L'opera sua e dei marianisti per chi è minoranza tra le minoranze è esemplare.

“Dobbiamo avere più fiducia nelle capacità di cambiamento di tutte le persone, anche del popolo rom. Il cambiamento è possibile. E’ sufficiente avere un sogno e non essere lasciati soli. Noi abbiamo cercato di dare un sogno ai bambini, ai ragazzi e ai genitori: il sogno che tutti i bambini rom di Lezhe, la mattina con lo zainetto sulle spalle, pieno di libri e tenendosi per mano, possano andare a scuola ad imparare ad essere uomini liberi”.

Un sogno che avete sognato tutti i giorni, per più di 10 anni.

“Il risultato è che oggi 70 bambini rom frequentano la scuola materna, 200 la scuola primaria, 11 il ginnasio. Lezhe è diventata un laboratorio dell’accoglienza e dell’accettazione del diverso”.

E' stato necessario superare qualche incomprensione.

“La scuola materna e la scuola primaria statale, dopo i primi momenti di incomprensione, ci hanno dato una grande collaborazione”.

Ora, che resta da fare?

“C’è ancora molto da fare, ma la direzione è questa. Don Tonino Bello diceva che l’uomo è un angelo con un’ala soltanto: può volare solo se abbracciato. E anche noi possiamo volare solo in questo modo”.

Se ripensa alle storie che ha incontrato in questi anni, alle persone che ha conosciuto, con le loro sofferenze, qual è la riflessine che ne trae?

“Che nel vocabolario di Dio non esistono i nomi collettivi. Le persone lui non le ama in serie. Lui ha una lacrima e una carezza per ognuno. Ascoltare le sofferenze, le storie di tanti, mi ha insegnato a voler bene uno ad uno, a chiamare per nome, a non fermarmi alla razza, all’etnia, al gruppo, ai pregiudizi ricorrenti. Io credo che tutte le guerre trovano la loro ultima radice nel ridurre i volti a tutti eguali, a farli diventare dei numeri, razze, etnie”.

Non vediamo il volto delle persone…

“Quando guardo i volti, segnati da tante sofferenze di tanti amici rom, mi dico: che ne so io del freddo delle notti, del girare a vuoto fra i bidoni della spazzatura, del non avere soldi per prendere le medicine, per pagare l’affitto, per comperare le scarpe al figlio che deve andare a scuola”.

Ci sono dei volti che non riesce a dimenticare?

“Penso al piccolo Lorenzo, morto dopo solo un mese di vita; a Isel, nato con una rarissima malattia; a Gheri, nato cieco e down; a Kriselda, morta dopo un solo giorno di vita. Sono volti, non razze, non etnie, non gruppi. Chi ci vive accanto è un volto da scoprire, da contemplare, da guardare, da rispettare, ma per fare questo dobbiamo lavare il nostro volto da qualsiasi residuo di potenza, di superiorità, di arroganza, di sufficienza”.

Papa Francesco parla molto di tenerezza, esorta ad avvicinare le persone con il cuore, non solo con i servizi…

“E’ importante dare un piatto di pasta, ma con la tovaglia sotto!”.

E il futuro, quali progetti porta?

“Chiedo a Dio di darci la forza, il coraggio e la pazienza di continuare a sognare insieme, perché, come diceva Helder Camara, ‘se a sognare lo stesso sogno è uno solo, il sogno rimane sogno, ma se a sognare siamo in tanti, il sogno è già un inizio di realtà’. E siamo sicuri che il Signore sogna con noi”.

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