Primo maggio

La festa del primo maggio cade quest'anno a pochi giorni dalla canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, due santi che hanno contrassegnato il loro pontificato con grandi iniziative a sostegno del mondo del lavoro, della giustizia sociale e della pace. Di festa resta ben poco, ma l'appuntamento si presenta sempre pregno di aspettative in un dibattiuto rinfocolato dalla crisi economica ed occupazionale e da qualche piccolo segnale di ripresa.

In un messaggio della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la ricorrenza viene definita “una giornata di lotta, non contro, ma pro, tutti insieme, sempre necessaria, per la tragedia crescente di questa crisi”. Lotta resta dunque anche se con sfumature partecipative pacifiste contro lo spauracchio che non è un fantasma anonimo e che secondo i vescovi chiede a tutti “una particolare empatia, davanti a tantissimi drammi sociali” e dove empatia sta per condivisione, vicinanza reciprocità, altruismo. E' quel lottare per il lavoro – spiegano i vescovi – indicato da papa Francesco nell'autunno scorso durante la visita in Sardegna, riassunto nelle parole: “Signore Gesù, a te non mancò il lavoro, dacci lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro e benedici tutti noi!”. Crisi e drammi sociali fanno un tutt'uno, in un connubio che sta demolendo le basi stesse della società. Non si tratta – spiega la commissione – semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell'oppressione, ma di qualcosa di nuovo: “con l'esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l'appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono 'sfruttati', ma rifiutati 'avanzi'”. Conseguentemente, avvertono i vescovi, ”nessuno, oggi, in questo momento” può tirarsi indietro scaricando la croce ad altri. Da qui l'appello a lottare con più forza per il lavoro, imparando a conoscere i meccanismi di esclusione che vengono attuati, spesso con “spietata durezza”.

C'è un richiamo forte al presente perché senza lavoro “nessun giovane e nessun padre di famiglia ha dignità, né sicurezza” e al futuro: “Senza lavoro non c'è umanesimo. E' un costruire sulla sabbia la nostra civiltà. Perchè non rispetta la persona”.

Il messaggio parla poi di un'economia che “ci vuole rubare la speranza”, per i sistemi ingiusti che crea, perchè spesso il “denaro governa invece di servire”. I vescovi rincarano la dose parlando di “sudditanza agli idoli” che nella notte pasquale i cristiani rifiutano solennemente di servire.

Confermano l'impegno della Chiesa citando l'”Evangelii gaudium” di Francesco, il cammino in vista del Convegno nel 2015 a Firenze sulla figura di Cristo che dà senso e significato al nuovo umanesimo e l'incontro a Salerno dal 24 al 26 ottobre prossimi, sul tema “Nella precarietà, la speranza”. Il brano evangelico della pesca miracolosa fa da icona biblica al percorso intrapreso ed a fronte del dramma e della delusione delle reti vuote, in un paralellismo, fra gli apostoli affranti a lavare le reti e i giovani di oggi sfibrati dalla ricerca infruttuosa di un'occupazione, i vescovi additano tre condizioni essenziali per reagire, basate su una solida formazione, sulla coraggiosa volontà di impresa e sulla fraterna cooperazione.

Modello resta Cristo, che non indica strade comode, risolutive, né tanto meno, scorciatoie clientelari o sbrigative “ma si siede sulla barca e dalla barca insegna alle folle”, da “vero” Maestro e “autentico educatore”. Questa la sua lezione: “Promuove, non si sostituisce. Punta sulla qualità, sull'innovazione, sulla formazione. Su un apprendistato che introduca realmente nel mondo del lavoro con dignità. E soprattutto con qualità”.

Viene citato anche don Lorenzo Milani per il suo “diuturno impegno” nella scuola di Barbiana. “Esigente, esemplare, durissima. Perchè animata da un cuore che ama”.

“Rischiare, investire, intraprendere”, dunque, per la Commissione lavoro Cei sono le parole che devono uscire dalla comunità cristiana, dalle parrocchie, evitando di “tenere i denari alla posta o in banca”, guardando avanti. Mettendocela tutta perchè il denaro non ammuffisca ”nella buca sottoterra della paura”. “Investi con coraggio e lungimiranza, per il bene comune, per il futuro dei nostri giovani” è l'imperativo categorico ad imprenditori, finanza e politica pur nel rammarico degli “errori commessi”, ma con l'intento di intraprendere “strade di solidarietà, che non portino allo scarto, ma all'incontro solidale con i giovani e i fragili”.

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