Affiorano i primi scogli

Non crediamo Renzi si sia illuso che la sua notevole vittoria alle Europee avrebbe consentito una navigazione tranquilla al suo governo. Indubbiamente essa ha sgombrato il campo dal mantra strumentale circa un leader che era arrivato al potere con un colpo di mano e senza consenso popolare. Il risultato elettorale è talmente notevole da certificare il suo consenso e da giustificare a posteriori il colpo di mano, perché quasi tutti pensano che con Letta al governo Grillo avrebbe potuto davvero mettere in crisi il PD.

Come abbiamo già avuto occasione di dire, però gli avversari di Renzi (che non sono pochi) non hanno alcuna intenzione di rendergli la vita facile. Sembra di vedere un tentativo di stringerlo a tenaglia su due questioni: il problema sindacale e la riforma del senato.

La prima questione ci fa vedere un sindacato piuttosto ottuso che non accetta di misurarsi coi tempi nuovi. Susanna Camusso prima ha inneggiato sul Corriere all’ipotesi di un partito unico della sinistra che consolidi la vittoria di Renzi, fingendo di non accorgersi che l’innesto subitaneo di SEL e compagni avrebbe forse accresciuto il peso della CGIL, ma avrebbe fatto scappare quella quota di elettori che hanno visto nel premier un timoniere “realista” fra i flutti della crisi. Forse avendo visto quanto tiepidamente è stato accolto l’invito di cui sopra, Camusso è passata a sostenere lo sciopero insensato che i sindacati della RAI hanno proclamato per l’11 giugno.

Quanto quella mossa sia stata rigettata dalla gente è visibile a tutti (senza contare che con la ricchezza di canali alternativi nessuno si preoccuperà di un giorno senza telegiornali e programmi RAI) tanto che persino l’USIGRAI ha cercato di fare marcia indietro. Con la vertenza Alitalia sulle spalle, dove il disastro della nostra ex compagnia di bandiera è in parte non piccola imputabile al sindacalismo selvaggio che vi ha allignato (per correttezza: ben al di là delle tre grandi sigle storiche), non sarebbe il momento di reclamare un condizionamento sul governo. Ma tant’è: evidentemente i “mandarini” del sindacalismo pensano ancora di poter difendere i loro passati ruoli.

La questione della riforma del senato è scivolosa per ragioni opposte. Qui infatti è arduo suscitare simpatia ed interesse nell’opinione pubblica. Il messaggio iniziale, che era quello del “riduciamo i costi della politica ridimensionando una camera poco utile”, è ormai passato, ma è troppo ambiguo: tutti accettano di “ridurre” il senato sia come membri che come poteri. Ciò di cui si discute è il modo di selezione dei senatori di nuovo tipo.

Questo non è un argomento in grado di suscitare passioni fra la gente normale. In verità il dibattito è inficiato di pressapochismi vari anche presso gli addetti ai lavori, dove ciascuno presenta le proprie tesi come se fossero verità matematiche al cui confronto quelle degli avversari sono semplicemente errori. Le cose stanno però in tutt’altro modo. Ci sono vari modi di selezione delle seconde camere, varie tecniche per renderle sedi di rappresentanze diverse da quelle delle ideologie politiche (cioè, in teoria, dei partiti), varie opzioni che si possono scegliere in merito ai poteri da assegnar loro e dei fini che ci si aspetta di realizzare con queste modalità.

Sono tutte opzioni in sé legittime. Abbiamo sentito affermare, anche da autorevoli giuristi, che un monocameralismo sostanziale sarebbe antidemocratico. Allora la Gran Bretagna che dal 1911 ha statuito la supremazia totale della Camera dei Comuni sarebbe un paese privo di democrazia… Così tutti i vari discorsi sui modelli di elezione dei senatori sono anche abbastanza trasparentemente dettati dai calcoli di convenienza di chi li propone.

Ridotta all’essenziale la questione sembra essere questa (almeno per ora): chi opta per un sistema di selezione legato ad un elettorato di secondo grado delle autonomie locali punta su un senato in cui gli interessi locali generano un certo disinteresse dalle grandi scelte politiche che vengono lasciate con maggiore libertà al governo; chi opta per un sistema di elezione diretta ha in mente la conservazione di una classe politica tradizionale che oggi si vede ristrette le possibilità di accesso al potere. Poi naturalmente c’è il tema di quale “maggioranza” si affermerebbe al senato: con l’elezione demandata ai vertici delle autonomie locali al momento sarebbe favorita la sinistra (che tradizionalmente è meglio piazzata in quei contesti); con l’elezione diretta da parte dei cittadini, ci sarebbe spazio per le campagne elettorali personali, magari a mezzo TV o Internet.

Come finirà, staremo a vedere.

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