Il peso del Rwanda

Commozione a Ravina e Rovereto per lo spettacolo che getta luce del genocidio del 1993-1994

Alcune storie, tanto più se appartengono alla Storia vera, appaiono così enormi e così pesanti, da non poter essere contenute in un racconto. E' come se la narrazione, anche quella più rigorosa, si rivelasse insufficiente, riduttiva, addirittura fuorviante.

La constatazione s'impone fin dai primi minuti di “Rwanda. Dio è qui”, lo spettacolo che ti rapisce e ti proietta indietro di vent'anni dentro uno dei cinque genocidi più terribili del Novecento: 800 mila vittime in un tempo contenuto, per una media drammatica di 10 mila morti al giorno. “”In Rwanda per 104 giorni – declamano i due attori – caddero 3 torri gemelle ogni giorno. Tutti i santi giorni”.

Dov'eravamo, allora? Dov'era il mondo, a partire da quel 6 aprile che diede il via ad una strategia sistematica di eliminazione dell'etnia hutu a colpi di macete: uomini, donne e bambini. E, poiché l'odio genera altro odio, la violenza si ripercuoteva anche contro i tutsi: coloro che non se la sentivano di uccidere – fossero anche preti, religiosi o religiose – venivano a loro volta uccisi.

Si giocavano in quelle tragiche settimane i campionati mondiali di calcio che tennero lontani da quell'angolo insanguinato d'Africa i grandi media occidentali, complici per il fatto che sul controllo del potere rwandese giravano anche gli interessi dei Paesi francofoni o anglofoni. “La prima regola era uccidere, la seconda non esisteva”, afferma laconico il miliziano Felicien.

E' teatro davvero civile, quello arrivato a Ravina sabato scorso e il giorno dopo in un gremito teatro Zandonai a Rovereto: la denuncia – ahinoi postuma, preventiva per eventuali altri massacri etnici – appare sostenuta da una ricostruzione precisa dei singoli episodi e del contesto geopolitico, ma soprattutto dalla convinzione dei due autori-attori, Mara Moschini e Marco Cortesi, che hanno attinto direttamente dalla voce dei superstiti rwandesi le loro fonti. Hanno prestato loro la voce, verrebbe da dire, ma la chiave positiva dello spettacolo – inevitabilmente truce, al punto da essere sconsigliato ai bambini – è in quella mail di poche settimana fa in cui Augustin, uno dei due protagonisti ringrazia Marco per il lavoro portato a termine e per il servizio di replicarlo più a lungo possibile (vedi riquadro), ricavandone risorse economiche che sosterranno progetti in Rwanda. Dio non si era perso per strada in Rwanda, ma aveva aiutato alcuni uomini, troppo pochi forse, a “fare la cosa giusta”, quella di opporsi al male anche a rischio eroico della propria fragile vita.

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