Grano di casa

Dalla spiga alla farina, dalla farina al pane, tutto a chilometro zero. Il frumento torna nei campi della valle di Cavedine grazie a un progetto che coinvolge alcuni agricoltori locali

Cavedine – La strada si stringe e si incunea tra le case in leggera salita. Bastano un paio di tornanti per raggiungere il campo, sorvegliato dal capitello degli “stropèri”, così lo chiamano in paese, dedicato a San Lorenzo. La gente è già al lavoro e la vecchia mietilegatrice taglia e lega in mazzi le spighe di frumento. Una scena che ci riporta indietro nel tempo di almeno quarant'anni, quando il grano rappresentava la fonte primaria di sostentamento per le famiglie della zona. Poi, anche nella valle del vento, il progressivo abbandono di questa coltura che ha dovuto lasciare spazio a vigneti e meleti.

Ora però, grazie al coraggio e alla tenacia di un manipolo di agricoltori locali affiancati dagli esperti della Fondazione Mach, il fumento sta tornando a colorare con le varietà “Bologna” e “Pastore” gli appezzamenti incolti. Il progetto, il primo in Trentino che mira alla far nascere una filiera corta del pane in valle, è nato tre anni fa con il supporto della Comunità. Coinvolge un panificatore locale, Tecchiolli, che acquista la farina prodotta e che quest'anno ha investito nell'acquisto di un mulino a pietra e alcuni gruppi di acquisto solidale che già dal 2013 hanno distribuito i primi sacchetti di “oro bianco” nelle dispense delle famiglie aderenti. E naturalmente i contadini, per ora una ventina, che presto si costituiranno in associazione per migliorare il metodo di lavoro e poter contare su un sostegno economico nell'acquisto di nuova attrezzatura.

“È un'iniziativa nata dal basso, su piccola scala ma con possibilità di espandersi, magari anche con l'aiuto della Provincia”, spiega il presidente della Comunità della valle dei Laghi, Luca Sommadossi. “Seminando il grano non solo si recuperano terreni incolti o troppo piccoli per ospitare altre colture, ma si fa rivivere una tradizione presente in valle fino agli anni Settanta, favorendo la biodiversità e abbellendo il paesaggio, anche in ottica turistica”.

La produzione sfiora i novanta quintali. “La trasformazione in farina ha solitamente una resa del 70-80%, ma è ancora presto per fare previsioni”, spiega il panificatore Aldo Tecchiolli. “Vedo comunque grande entusiasmo intorno a questo progetto, che ben si inserisce nella volontà di trasformare la valle dei laghi in distretto biologico”.

Sono poco più di tre gli ettari complessivamente coltivati, suddivisi in piccoli terreni che spuntano qua e là nella campagna come quello di Silvano Bridarolli, dove il lavoro procede spedito. Il raccolto è una grande festa, un'occasione per stare insieme e scambiarsi pareri e conoscenze. I più anziani ricordano i tempi passati, quando il colore del grano maturo si mescolava al rosso dei papaveri che crescevano abbondanti nei campi. Quando la vita di una famiglia, dipendeva dalla bontà del raccolto.

“Ci si svegliava prestissimo, alle 4.30, per cominciare a lavorare quando ancora era fresco”, racconta Flavio, 75 anni. “Si partiva in fila, falciando tutto a mano; ne nascevano delle vere e proprie gare di velocità e abilità. Nemmeno una spiga doveva restare in piedi perché quel raccolto doveva bastare a sfamare tutta la famiglia, per un anno intero. È una cosa difficile da immaginare al giorno d'oggi, soprattutto per i più giovani”.

La mietilegatrice smette di sbuffare e si comincia a “incasellare”, a formare cioè le “casele”, i covoni che restano sul campo come tanti piccoli e silenziosi omini di paglia, in attesa della trebbiatura che, come la successiva trasformazione in farina e pane, è rigorosamente a chilometro zero.

La separazione delle varie parti del chicco avviene infatti poco più a valle, a Stravino dai “Berlonghi”, dove una vecchia trebbiatrice lavora incessantemente e fa risuonare lontano il ritmico martellare dei suoi ingranaggi, azionati da cinghie collegate al motore scoppiettante di un trattore. Suono che si mescola con le voci degli operai, che piano piano si fa lieve. I battiti rallentano, sempre di più, fino a fermarsi. La musica si spegne. Si sentono in lontananza le campane annunciare il mezzogiorno. Anche per la vecchia trebbiatrice è giunto il momento di riposarsi.

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