La Vittoria del buon senso

Inaugurato lunedì alla presenza del ministro Franceschini, è un passo nella direzione dell’abbattimento dei simboli cari alle ideologie della supremazia e della divisione

Bolzano – Il monumento alla Vittoria di Bolzano è stato (e per certi versi è tutt’ora) causa di divisione per più motivi. Il primo lo si evince dal suo stesso nome: “Vittoria”. Celebrare una vittoria in una città, in una provincia, in cui la gran parte della popolazione appartiene, per così dire, agli “sconfitti”, fu fin da principio un atto ostile. Il Monumento, opera di Marcello Piacentini, fu costruito tra il 1926 e il 1928, negli anni del decollo della dittatura fascista, e ha rappresentato già allora il simbolo della fascistizzazione e italianizzazione dell’Alto Adige, che avveniva nell’esaltazione di quella Grande Guerra di cui ricorre il centenario.

In secondo luogo, come già accennato, il Monumento, basta guardarlo, è un inno alla dittatura mussoliniana. Poggia su colonne che sono enormi fasci littori. Celebra il fascismo italiano, erede della Roma imperiale, come un movimento foriero di civiltà, tanto che la scritta, a tutt’oggi ben leggibile sul frontone, recita, tra l’altro: “Hinc ceteros excoluimus lingua legibus artibus” (da qui educammo gli altri nella lingua, nelle leggi e nelle arti).

La maggiore contraddizione legata all’arco di Piacentini riguarda tuttavia il passato prossimo e il presente. Per lunghi decenni, anche nel secondo dopoguerra, fu considerato uno degli elementi costitutivi dell’identità della popolazione di lingua italiana dell’Alto Adige. Vi si sono celebrate manifestazioni e deposte corone. Nel 2002, quando la giunta Salghetti, con un atto di coraggio, rinominò piazza della Vittoria in “piazza della Pace”, quella decisione fu respinta da un referendum popolare comunale, il cui esito fu un pugno nello stomaco a tutti coloro che credevano e credono nella possibilità di un cammino comune, pure nella diversità delle culture, per i gruppi linguistici altoatesini.

L’apertura, lunedì scorso, del percorso espositivo “BZ '18-'45. Un monumento, una città, due dittature”, è un passo nella direzione dell’abbattimento dei simboli cari alle ideologie della supremazia e della divisione. È come dire: la storia va raccontata nella verità e poi è necessario guardare ad un futuro positivo.

“La storia – ha detto il ministro Dario Franceschini, presente all’inaugurazione – non si può e non si deve cancellare, ma qui a Bolzano la memoria delle lacerazioni del passato non serve per riaprire antiche ferite, piuttosto per essere consapevoli di quanta strada è stata fatta in questi anni e di come questo territorio rappresenti attualmente un esempio riuscito, un modello positivo di convivenza pacifica tra comunità diverse per lingua e cultura e anche un esempio di tutela delle minoranze”.

Gli ha fatto eco il sindaco Luigi Spagnolli: “La capacità di fare i conti con il proprio passato è fondamentale affinché un territorio e la sua popolazione possano guardare con fiducia al futuro”. “Oggi – ha aggiunto il presidente Arno Kompatscher – servono il dialogo e la trasmissione della conoscenza storica, perché, come recita un modo di dire tedesco, ‘Wenn man’s nicht weiß, kann man’s nicht sehen’: quello che non si sa, non lo si riesce a vedere”.

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