Tra gli emigrati trentini di Toronto

Andare in Canada e ritrovarsi in Val di Non. Scesi dall’aereo, la signora Lucia Larentis Flaim ci ha accompagnati in un’oasi verde dove erano radunati circa trecento trentini di prima emigrazione con figli e nipoti nati in loco. Al picnic del Club Trentino di Toronto, l'impressione di sentirsi in Italia, anzi in Trentino, scaturisce dalle targhe delle automobili riportanti località note quali Val di Non, Cles, Cavedago, Brez e via dicendo (perché in Canada è possibile personalizzare le targhe delle vetture), dal sapore di polenta e salsiccia, accompagnati da un buon vino fatto in casa ed un'ottima grappa, dalla parlata nonesa che ormai non esiste più, o quasi, nel dialetto moderno. È stato bellissimo percepire tra i soci del Club Trentino di Toronto il profondo attaccamento alla terra trentina anche dopo oltre cinquant’anni dal distacco, non sempre voluto e spesso obbligato.

I racconti sono stati di una emozione unica, come le parole del signor Sicheri originario di Stenico: “Dopo cinquantotto anni mi vedo ancora lì che scendo dalla nave a Halifax dopo aver lasciato tutto, anzi aver contratto debiti per poter emigrare. È stata durissima i primi anni, anche per le difficoltà linguistiche ed il lavoro da 'manuale' edilizio, poi sono diventato piastrellista e pur avanti con l’età adesso sto abbastanza bene e vivo felice con mia moglie Zaira e la mia famiglia, allargatasi con figli e nipoti”.

Fra (Father) Moser, fratello della dinastia dei celeberrimi ciclisti, ha celebrato Messa per i trentini, che mischiavano inglese, noneso-italiano e cappelli da cowboys con una disinvoltura unica. La stessa disinvoltura utilizzata nel parlare di viaggi di migliaia di chilometri come fossero metri. “Sono andato a trovare mio figlio che insegna nanotecnologia ad Edmonton e ho impiegato quattro giorni di auto. Tutta una retta per arrivarci”.

La bellezza di questo incontro è stata poter toccare con mano la forza delle donne trentine, che ora sono tutte compatte in un circolo dedito alle attività socio-culturali. Forse sono state quelle che all’inizio hanno sofferto di più nell’emigrare. Stavano a casa con i figli, e poco più. “Tanti pianti” racconta una signora “e fra le lacrime vedevo le montagne” anche se a Toronto non vi è l’ombra. Credevo di averle viste anch’io una mattina, ma erano solo nuvole del lontano Quebec, o di Manitoba, ed allora ho sognato le praterie con gli indiani che inseguivano i bisonti, come si vede al museo cittadino Royal Ontario Museum. È stato tutto troppo bello, ma vero.

Giuseppe Vaccari

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