“La guerra, una pazzia”

“A me che importa?” è l'interrogativo posto ripetutamente da Francesco alla Messa. In dono un altare da campo e l'attestazione del nonno Giovanni, combattente con i bersaglieri nella Grande Guerra

Redipuglia (Gorizia) – L'omelia di Papa Francesco al sacrario di Redipuglia nella mattinata di sabato 14 settembre – un pellegrinaggio ricordato anche il giorno dopo all'Angelus in piazza San Pietro – ha avuto una forte valenza di denuncia del male della guerra come anche dell'indifferenza con la quale, troppo spesso, si guarda alle sofferenze dei popoli travolti dai conflitti. Tagliente anche la denuncia degli interessi che si nascondono dietro le guerre, piccole o grandi che siano, in una linea di continuità e di coerenza con i suoi messaggi pastorali. Una frase per tutte, a stroncare qualsiasi tentativo di giustificazione: “La guerra, una pazzia dalla quale l'umanità non ha ancora imparato la lezione”, ha detto all'Angelus. In Friuli, 24 ore prima identico il concetto espresso, davanti a 15 mila persone per lo più rappresentanti dei vari corpi militari e delle loro famiglie: “La guerra è una follia”.

Per rendere più efficace la sua riflessione Francesco aveva parlato dell'ambiente rurale attraversato dall'aeroporto di Ronchi dei Legionari a Redipuglia, flagellato dalla pioggia in quelle ore, ma ricco di campi coltivati, che gli ha consentito di contemplare la “bellezza del paesaggio”, dove uomini e donne lavorano portando avanti la loro famiglia, “dove i bambini giocano e gli anziani sognano”, un paesaggio solo apparentemente bucolico in stridente contrapposizione con le due aree riservate ai caduti nella Grande Guerra. Il cimitero austroungarico e il sacrario di Redipuglia con oltre centomila soldati caduti al fronte. Ha raggiunto il primo con pochi accompagnatori per pregare in silenzio e deporre un fiore su una tomba anonima.

Al secondo appuntamento ha concelebrato la Nessa con cardinali, vescovi, tra il quali mons. Luigi Bressan, sacerdoti del Triveneto e di alcuni Paesi dell'ex Yugoslavia, cappellani militari con numerosi Ordinari militari.

E' una visione planetaria, biblica quella che induce Francesco ad una considerazione senza appello: “mentre Dio porta avanti la sua creazione, e noi uomini siamo chiamati a collaborare alla sua opera, la guerra distrugge”. “Distrugge – ha detto – anche ciò che Dio ha creato di più bello: l'essere umano”, stravolge tutto, anche il “legame tra fratelli“. “La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione”, sotto la spinta della “cupidigia”, dell'”intolleranza”, dell'”ambizione al potere”, per “passione, “per un impulso distorto” ancorando “la giustificazione nell'ideologia” e in sua assenza alla risposta di Caino alla domanda Dio circa la sorte del fratello Abele, brano della Genesi, citato nella lettura della messa: “A me che importa? “Sono forse io il custode di mio fratello”, una domanda che si è fatta incalzante ripetuta per ben nove volte dal Papa, al termine di annotazioni stringenti: “La guerra non guarda in faccia a nessuno: vecchi, bambini, mamme, papà”.

“Tutte queste persone, che riposano qui, avevano i loro progetti, avevano i loro sogni…, ma le loro vite sono state spezzate. Perchè? Perchè l'umanità ha detto: 'a me che importa?'” Un interrogativo che aleggia sull'ingresso del cimitero, titolo da prima pagina per i giornali, a detta di Francesco. In cent'anni si è passato al fallimento della prima e seconda guerra mondiale e alla terza combattuta “a pezzi”, con crimini distruzioni, massacri. “C'è il pianto – ha osservato Francesco – c'è il lutto, c'è il dolore” che portano al ricordo delle “vittime di tutte le guerre”. E dietro le quinte, ieri come oggi, “ ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c'è l'industria delle armi, che sembra essere tanto importante”. Ed anche a loro “pianificatori del terrore”, “organizzatori dello scontro”, “imprenditori delle armi” il Papa pone la stessa domanda: “A me che importa”, dicendo che “è proprio dei saggi riconoscere gli errori, provarne dolore, pentirsi, chiedere perdono e piangere”.

Francesco si umilia al punto di chiedere “a tutti voi e per tutti noi la conversione del cuore”, “con cuore di figlio, di fratello di padre per tutti i caduti della inutile strage”, per tutte le vittime della follia della guerra, in ogni tempo. Il pianto”. “Fratelli – ha concluso affermando – l'umanità ha bisogno di piangere, e questa è l'ora del pianto”. E all'Angelus Francesco ha citato anche i numeri delle vittime del primo conflitto mondiale: circa 8 milioni di giovani soldati, 7 milioni di persone civili, dati “che ci fanno capire – ha rimarcato – “quanto la guerra sia una pazzia”.

Marco Zeni

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