Prova di forza?

L’ingovernabilità del parlamento non fa che aumentare. Si prenda la vicenda della elezione dei due membri di nomina parlamentare della Corte costituzionale. O la legge di riforma del mercato del lavoro

Quello che sta avvenendo nel mondo politico assomiglia sempre più alla prova di forza di componenti che fiutano la fine di un’epoca e che non vogliono accettarla. L’ingovernabilità del parlamento non fa che aumentare, anche per cause quasi indipendenti dalla volontà dei protagonisti.

Si prenda la vicenda, davvero umiliante, della elezione dei due membri di nomina parlamentare della Corte costituzionale. C’era da lungo tempo di fatto una prassi che ne assegnava uno alla maggioranza ed uno alla opposizione. Ovviamente si doveva supporre che esistessero “una” maggioranza e “una” opposizione. Ma oggi non è più così, perché le opposizioni sono almeno due (FI e M5S) più frattaglie, e la maggioranza non solo fatica ad esistere in quanto tale, ma il suo principale partito, il PD, è percorso da una interminabile guerra interna fra diverse tribù. Dunque l’accordo che porti alla fatidica maggioranza qualificata necessaria è quasi impossibile.

Si potrebbe pensare che in condizioni simili i partiti abilmente si dispongano a cercare candidati il più possibile “neutri” in maniera da superare le fragilità della situazione. Invece questo spinge le dirigenze dei partiti a fissarsi su candidati molto connotati, che per di più non sono neppure i candidati “del partito”, ma piuttosto del suo gruppo dirigente e di conseguenza diventa interessante per i dissidenti interni e per quelli che puntano allo sfascio del sistema boicottare le soluzioni proposte.

Purtroppo, a riprova del clima avvelenato, quanto si è detto per le votazioni per la Consulta si sta ripetendo per un altro passaggio delicato, la legge di riforma del mercato del lavoro. Certo in questo caso ad alimentare gli sfasci concorre, purtroppo, la pochezza intellettuale dell’attuale dirigenza della CGIL, da un lato incapace di affrancarsi dai suoi meccanismi storici di catena di trasmissione del vecchio mondo comunista dell’ultima fase (quello precedente era molto più serio), dall’altro prigioniera dei suoi scontri interni per la leadership. Però questo non è tutto, perché i componenti del gruppo dirigente del PD sconfitto da Renzi ci mettono del loro per dare un contributo al peggioramento della situazione.

Quel che è veramente difficile da capire è come non ci si renda conto dei condizionamenti pesanti a cui è sottoposta la nostra situazione nazionale. Se un personaggio non certo amante dei colpi di testa come il presidente Napolitano si sente costretto ad intervenire nelle tensioni politiche attuali, si può ben capire lo faccia perché è consapevole del contesto assai delicato in cui ci muoviamo. Siamo infatti un paese sotto malevola osservazione da parte dei nostri partner internazionali che non hanno grande fiducia sulle nostre capacità di riforma. Così Renzi diventa l’oggetto di un esame molto severo, visto che, anche per alcune sue intemperanze personali, è facile che si tenda a prendere in considerazione l’ipotesi, continuamente avanzata dai nostri dissidenti di varia estrazione, che il premier sia un parolaio che conclude poco. Perciò si rende necessario mostrare all’esterno con uno “strappo” che “cambiare si può”.

E’ chiaro a tutti che la riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori ha più il significato simbolico della presa d’atto che il mondo è cambiato, che il peso reale di un provvedimento che riaprirà per questo le porte del mercato del lavoro. Semmai la speranza, perché per ora di speranza si tratta, è che gli investitori riprendano fiducia e credano che in Italia il sistema può essere fatto uscire dalle paludi in cui si è impantanato, che non sono ovviamente solo quelle del sindacalismo retrò.

Il pericolo è che su questa battaglia simbolica s’inneschi il meccanismo della zuffa universale in cui tutti vogliono infilarsi. Non c’è infatti solo la minoranza PD, un amalgama mal riuscito di vecchi sopravvissuti, generazione di mezzo frustrata e giovani che hanno perso il treno per arrivare ai vertici, ci sono anche gli altri partiti, a cominciare da FI, che già sogna di correre in soccorso del governo facendolo così crollare sotto il peso di quel sostegno.

Per ora siamo ancora alle grandi schermaglie universali, ma se queste non si concludono in fretta (e c’è da dubitarne), si finirà per indebolire sostanzialmente le nostre non eccelse possibilità di ripresa.

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