Vivere fino in fondo

Dal desiderio di morire alla qualità della vita delle persone che vivono i loro ultimi giorni

Novacella – Non basta dire no a situazioni estreme come il suicidio o l’eutanasia. Spesso le persone che stanno per morire, sono esposte ad alti livelli di dolore e sofferenze sia sul piano fisico che su quello spirituale. Non ci si può limitare a spiegare alle persone morenti che il loro desiderio di farla finita non è legalmente, eticamente e moralmente ammissibile. È necessario capire da dove viene questo desiderio di morire e fare di tutto per migliorare la qualità di vita delle persone che vivono i loro ultimi giorni.

Il tema è stato al centro del convegno “Finalmente vivere – esiste vita prima della morte?”, organizzato a Novacella, presso Bressanone, dal servizio Caritas Hospice in collaborazione col Centro Convegni dell’abbazia. In sala specialisti del settore provenienti anche dall’estero, assieme a volontari del servizio Hospice, operatori del settore sociale e sanitario, medici, politici, infermieri e parenti.

“Il desiderio di morire espresso da un malato va sempre preso sul serio”, dice il responsabile del servizio Caritas Hospice Günther Rederlechner. “In molti casi è un grido di aiuto derivante dalla paura di non riuscire più a disporre e decidere autonomamente della propria vita. Paura del dolore e della sofferenza che dovranno affrontare, della solitudine, delle difficoltà finanziarie che potrebbero presentarsi. Si preoccupano di poter diventare un peso per la famiglia e la società. Tutto questo – afferma Rederlechner – ci impone di reagire in modo adeguato”.

Massimo Bernardo, medico responsabile del reparto di Cure Palliative presso l’ospedale di Bolzano, ha chiesto un diverso atteggiamento anche da parte dei suoi colleghi. “La medicina ha fatto passi da gigante. Persone che soffrono di malattie incurabili hanno oggi, rispetto al passato, un’aspettativa di vita nettamente migliore. Ma non si tratta solamente di quanto a lungo una persona possa vivere, si deve considerare anche come questa persona può condurre la propria vita, le condizioni in cui è costretta a vivere. Alcuni trattamenti portano solo a più sofferenza, perché allungano l’esistenza a discapito della qualità di vita”, dice Bernardo. “È necessario a questo punto prendere in considerazione nuovi approcci. Dobbiamo occuparci di più dei morenti, prendere sul serio e avere a cuore i loro bisogni e desideri, condividere le loro decisioni. In questo modo ci guadagnano tutti: i pazienti possono essere trattati secondo le loro esigenze, i medici possono adeguare le terapie ai desideri dei morenti, le strutture sanitarie possono utilizzare le risorse disponibili in maniera più mirata”.

In questo ambito così delicato, c’è spazio per i volontari? In Alto Adige il servizio Hospice ne coordina più di duecento. “Spesso sono le piccole cose che stanno a cuore ai morenti e li aiutano ad affrontare i momenti difficili”, racconta Renate Müller, volontaria da tanti anni. “Ci sono persone che raccontano volentieri del loro passato. Fare memoria dà loro gioia. Molti di loro, nonostante la debolezza e la sofferenza, vogliono ancora andare a fondo di se stessi e della loro vita. Anche in questo caso, attraverso il semplice ascolto, è possibile cambiare o trovare soluzione a ciò che nella loro vita ancora pesa o resta in sospeso”.

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