“Senza introiti non è facile tirare avanti”

Un altro anno difficile per i coltivatori. E se la produzione non torna a livelli accettabili, il rischio è che la della castanicoltura vada scomparendo, con conseguenze non solo economiche

A fine settembre, quando la raccolta stava per cominciare, i castanicoltori si sono messi per il secondo anno consecutivo le mani nei capelli. Gli alberi che avevano accudito amorosamente durante l'inverno, gli sfalci che avevano fatto in estate, sembrava non fossero serviti a nulla, perché di nuovo i ricci all'interno erano vuoti: i pochi frutti presenti non presentavano una pezzatura soddisfacente. Insomma, si prospettava un altro autunno senza marroni da gustare davanti alle prime stufe accese.

Oggi, alla vigilia della festa della castagna di Castione, la situazione è un po' migliorata: il bel tempo delle ultime settimane ha aiutato le piante, che sono riuscite a recuperare sulla dimensione del frutto. Rimane comunque un anno tragico per la castanicoltura trentina, ma almeno, rispetto alla produzione-zero del 2013, quest'anno i produttori potranno contare su un 10% rispetto al raccolto standard.

L'Altopiano di Brentonico produce un terzo delle castagne del Trentino; in provincia, in totale, ogni autunno si raccolgono 1.500 quintali. Sui 70 ettari vocati alla castanicoltura tra Crosano, Castione e Besagno, a un'altitudine che varia dai 300 ai 750 metri sul livello del mare, quest'autunno sono stati prodotti circa 50 quintali. Una quantità sufficiente a garantire la riuscita della festa in programma il 25 e 26 ottobre e a rifornire di caldarroste gli eventi programmati come la fiera di S.Caterina a Rovereto a fine novembre. È stata però pressoché azzerata la vendita di frutti freschi: qualche retina è finita sugli scaffali dei supermercati, ma non ci sono abbastanza castagne da poter commercializzare durante la festa a Castione. I produttori hanno immagazzinato tutto l'immagazzinabile, ma per tornare a fare dei guadagni si dovrà sperare nel prossimo anno.

Battuta la vespa galligena, che aveva fatto strage tra le piante brentegane nel 2013, i castanicoltori la scorsa primavera si sentivano fiduciosi, perché gli alberi si stavano riprendendo grazie alla diffusione programmata di un insetto antagonista. A farli tornare prepotentemente alla realtà sono state le piogge estive e le basse temperature di luglio e agosto, che hanno bloccato la maturazione del frutto.

“Abbiamo fatto tutto il possibile. Ci siamo presi cura dei nostri appezzamenti, abbiamo fatto la potatura, lo sfalcio, ma non è servito. Anche quest'anno non abbiamo un raccolto degno di essere chiamato tale”, spiega Fulvio Viesi, presidente dell'Associazione tutela marroni di Castione e vicepresidente nazionale delle Città del castagno.

Se la produzione non torna a livelli accettabili, garantendo delle entrate ai coltivatori, il rischio è che la pratica della castanicoltura vada scomparendo, con conseguenze non solo economiche. “Qui non si parla solo di una pratica agricola secolare, ma di una forma di tutela del territorio”, conclude Viesi. “La pulizia, la potatura, gli innesti, contribuiscono a mantenere intatto l'ambiente, che sennò si trasformerebbe in bosco. La battitura e la raccolta sono solo l'ultimo tassello di un mosaico complesso. Solo che senza introiti non è facile tirare avanti”.

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