Quel cimitero in fondo al mare

Travolte dalle onde mentre su scassatissime carrette del mare avevano affidato il loro futuro alla speranza di un approdo su lidi sicuri, migliaia di persone sono finite in fondo al Mediterraneo. È forse il più grande cimitero senza mura di cinta, lapidi, croci lumi e fiori che non ha richiesto alcun tipo di allestimento. Un quest'antivigilia della festa di Ognissanti e dei morti, neppure i fiori del Giardino delle rose di Malosco, dove è stato inaugurato un piccolo monumento in loro ricordo, possono risultare utili, perché sfioriti, perché appassiti, perché distrutti dal freddo. Ci sarà di certo qualche mano pietosa a ricordarsi con qualche crisantemo dei poveri disgraziati finiti in fondo al mare e del tutto dimenticati. Sono scomparsi, senza nome, senza una tomba su cui sostare nel pianto e nel ricordo, senza un rito religioso personalizzato: solo qualche sporadica cerimonia collettiva, in un clima di generale indifferenza. Adottare un morto anonimo è un'impresa davvero ardua. Eppure la collettività nazionale e le nostre comunità paesane e frazionali hanno saputo realizzarla con i monumenti al milite ignoto, con le lapidi e le tante occasioni di preghiera e di incontro per i soldati morti chissà dove nella prima e nella seconda guerra mondiale, con i propri emigranti deceduti in terre lontane. L'idea dell'adozione di un defunto è di una collega del Sir, Emanuela Vinai, che la definisce un “rito d'amore” per non dimenticare chi non c'è più, anche se sconosciuto, ma che non cessa di essere presente, almeno con un pensiero, una preghiera. “Come il piatto in più che su tante tavole – osserva – si mette per l'angelo, per l'ospite inatteso, perché nel cimitero più silenzioso c'è sempre una campana che rintocca”.

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