Messico e nuvole (nere)

La vicenda dei 43 studenti massacrati a Iguala ha svelato l’intreccio tra potere politico e narcos e scuote il Paese

Erano partiti in 43 dalla loro scuola, un Istituto agrario, poco distante da Iguala, nello Stato di Guerrero, un centinaio di chilometri a sudovest da Città del Messico. Era verso la fine di settembre. Volevano andare a manifestare pacificamente per riaffermare il diritto allo studio e al lavoro, come succede per tanti studenti ad ogni latitudine nel mondo. Non avevano abbastanza denaro con loro e allora avevano chiesto agli autisti di un paio di bus di dare loro un passaggio e gli autisti avevano accettato. Ma appena usciti dal deposito di Iguala i torpedoni sono stati bloccati da diverse auto della polizia. Da quel momento di questi 43 studenti non si erano avute più notizie. Desaparecidos. Scomparsi.

Era capitato che la polizia li aveva consegnati a un gruppo paramilitare tra i più spietati in quella zona, i Guerreros unidos, al soldo dei narcotrafficanti del posto. Li hanno ammazzati tutti subito, alcuni soffocati dentro i cassoni dei camion del sequestro, gli altri mitragliati uno ad uno. Poi i narcos hanno fatto una pira con copertoni e sacchi di immondizia e il fuoco, innestato da diverse taniche di benzina, è durato a lungo perché tutto doveva sparire. Infine quel che è rimasto è stato calcinato per eliminare ogni traccia. Così hanno riferito alcuni balordi, killer della banda criminale.

Nel Messico dove praticamente non passa giorno senza che vengano trovate fosse comuni con decine di cadaveri, il sequestro dei 43 studenti ha però segnato una fase di netta discontinuità. Forse per la prima volta da anni, la gente comune che sembrava essersi assuefatta ad un clima di quotidiana violenza nella più manifesta impotenza ha reagito sulla scia della ribellione degli studenti. E non solo i compagni dell’Istituto frequentato dai 43 desaparecidos ma decine di migliaia di giovani in tutto il Paese hanno inscenato proteste e sit-in chiedendo a gran voce che venisse fatta piena luce su quanto accaduto.

Qualche sindaco è stato arrestato, ridotti in manette anche i capi locali della polizia. E’ stato un sussulto di sdegno e dignità in un territorio in cui sono vaste le zone sotto il completo controllo dei narcotrafficanti, una criminalità organizzata che ha assimilato i governi locali e dove paradossalmente, in qualche caso, i cittadini onesti hanno dovuto ricorrere ad organizzare milizie civili per difendersi dalla polizia totalmente asservita ai clan della malavita.

Proprio il sequestro di questi ragazzi innocenti ha risvegliato quella parte della società messicana più sensibile e meno assuefatta al clima generalizzato di violenza, destando un moto di sdegno e protesta pacifica.

Come osserva lo scrittore messicano Juan Pablo Villalobos, che in un suo romanzo, “Il bambino che collezionava parole”, aveva narrato il mondo di estrema violenza dei narcos attraverso gli occhi e la sensibilità di un adolescente: “Sì, la gente sta reagendo e anche gli intellettuali, i personaggi in vista prendono posizione. Si sta cercando una nuova via. Un modo per convertire tanta impotenza e frustrazione in qualcosa di positivo, che trasformi il Paese”.

Forse solo allora il sacrificio di Jorge, Jorge Anìbal, Chistian Alonso, Carlos Ivan, Miguel, Leonel, Josè Eduardo, Jonas, Martin, Everardo, Cutberto, Jhosivani, Juan, José Angel, Luis Angel, Alexander, Miguel Angel, Marcial, José Angel, Julio Cesar, Israel, Carlos Lorenzo, Luis Angel, Chistian, Adan, Saùl, Cesar Manuel, Marco Antonio, Antonio Santana, Jorge Antonio, Mauricio, Josè Luis, Magdaleno, Jorge Luis, Doriam, Emiliano, Abel, Nemjamìn, Felipe, Jesùs, Abelardo, Bernard e Israel non sarà stato vano ma lievito di trasformazione delle coscienze e della società. Se il chicco di grano non muore…

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