Le mele, ora, sono conservate nella miniera di San Romedio

All’interno delle gallerie di Taio, nella miniera di San Romedio
A Torra, frazione di Taio, nelle gallerie della miniera di San Romedio gestite dalla Cementi Tassullo, a 275 metri di profondità è stato messo a punto un impianto innovativo di conservazione delle mele, unico al mondo; a 800 metri dall’ingresso del giacimento e a un chilometro di distanza dal magazzino di lavorazione, la COCEA.

Il progetto è stato ideato e gestito da Melinda, in collaborazione con la ditta che cura l’estrazione di dolomia. Il Consorzio, che comprende 16 cooperative frutticole, ha presentato alla stampa venerdì scorso questa novità. Il direttore Luca Granata ha illustrato tutto l’iter della realizzazione dal punto di vista ambientale, sociale ed economico.

L’idea è nata nel 2010, quando sono state fatte le previsioni, fino al 2020, di un aumento di produzione di 50 mila tonnellate di mele da immagazzinare. Un membro del direttivo Melinda aveva lanciato l’ipotesi di conservare le mele all’interno della miniera di san Romedio. Dopo una ricerca di base e uno studio sui sistemi di conservazione del pesce in Norvegia nelle cavità delle rocce, è nata la collaborazione con uno scienziato di questo paese, che ha suggerito la metodologia con cui procedere.

Nel 2012, con la prima cella prototipo, si è studiato il comportamento delle mele in ipogeo. Sono stati raccolti dati sulla tenuta del gas della roccia di Dolomia, sul risparmio energetico e sulla qualità delle mele conservate. Da ciò è partito il progetto per la costruzione di 12 celle (una singola unità è lunga 25 metri e larga 12), disposte sei a destra e sei a sinistra, con al centro un corridoio di collegamento e di supporto per tutti gli impianti tecnologici e per il carico e lo scarico delle mele da immagazzinare.

Il complesso, messo in funzione nell’ottobre 2014, ha la capacità di contenere e conservare in atmosfera controllata 10.500 tonnellate di mele (1.050 vagoni) accogliendo 33.870 bins. Il tutto è stato realizzato nel cuore della montagna, risparmiando 5 ettari di terreno, consumando meno di 27 mila metri cubi di acqua per il raffreddamento, rispetto a un analogo impianto costruito in superficie, e riducendo le emissioni di CO2 di 40 mila chilogrammi l’anno. Un impianto che ha sviluppato e svilupperà un indotto, per l’industria di impianti tecnologici molto avanzati, per il turismo, perché attirerà molti curiosi, per la ristorazione e per la ricettività.

Le celle sono state dimensionate per contenere la quantità di mele che si possono lavorare in un giorno e preparare per la commercializzazione; per questo motivo si è dovuto ricorrere a uno scavo apposito anziché utilizzare le gallerie preesistenti. Si sono risparmiate 850 tonnellate di isolanti artificiali, essendo la roccia un perfetto isolante naturale. Nel magazzino sotterraneo il consumo di energia elettrica è infatti inferiore del 70% rispetto alla soluzione fuori terra e la potenza elettrica installata per l’alimentazione degli impianti frigoriferi a servizio delle celle è ridotta dell’80%. “Quando abbiamo davanti agli occhi dei grandi tesori, non ce ne accorgiamo mai”, ha detto il direttore generale di Melinda, Luca Granata. “Perché gli uomini non credono ai tesori” Il tesoro, in questo caso, è stato scoperto dal geologo Andrea Fuganti, che fin dagli anni cinquanta studia questo sito.

In futuro tutto l’impianto verrà robotizzato e lo stoccaggio delle mele verrà gestito tutto in automatico senza la presenza di operatori che con i carrelli elevatori spostano i bins. Quest’anno in Val di Non la sovrapproduzione di mele, del 30% rispetto all’anno scorso, è stata immagazzinata in questo nuovo impianto, con un risparmio notevole sull’affitto di nuove celle.

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