Un difensore degli ebrei

Il vescovo mons. Giuseppe Placido Nicolini (1877-1973), originario di Villazzano, operò ad Assisi nella seconda guerra mondiale

E' stata presentata ad Assisi, dove ha operato come vescovo dal 1928 al 1972, e sarà presto illustrata anche a Trento, che gli ha dato i natali il 6 gennaio 1877 e dove si è spento nel 1973, la biografia di mons. Giuseppe Placido Nicolini. S'intitola “Vescovo della città serafica”, è scritta da Francesco Santucci, direttore dell’Archivio vescovile di Assisi, ed edita da Cittadella Editrice, grazie al sostegno finanziario della diocesi trentina. Negli anni della seconda guerra mondiale, dal 1943 al 1944, fino all’arrivo degli Alleati, il mite discepolo di San Benedetto, quanto ad appartenenza religiosa, e nello stesso tempo autentico discepolo di San Francesco, ha operato con grande coraggio, instancabilmente a favore degli ebrei, evitando a moltissime famiglie la deportazione nei campi di concentramento nazisti. Li ospitò in episcopio e in tutte le strutture ecclesiastiche, compresi i conventi femminili di clausura, procurando documenti falsi, alimenti, vestiario e assistenza sanitaria. Nell’alloggio del vescovo – poi premiato come “Giusto fra le nazioni” – era un viavai di gente, nell’unica stanza disponibile, attigua a quella di Nicolini, mentre nei sotterranei venivano erette nuove pareti per celare oggetti, scritti e beni dei fuggiaschi. A segnalare l’insolita mansione per un vescovo è stato il suo più stretto collaboratore del tempo, don Aldo Brunacci, con il quale si alternava come muratore con malta, cazzuola, piccone e badili a lume di candela per non dare sospetti. Anche il contagio di suore, frati e parroci di montagna viaggiava attraverso un silenzioso tam tam di mistero.

L’autore ricostruisce il tragico capitolo di storia con dovizia di particolari attraverso la pubblicazione di documenti e testimonianze inedite opportune in questi giorni della “Memoria”, non circoscrivibile ad una sola giornata. E’ proprio il tema a favorire un percorso prolungato di riflessione, che in questo caso esalta l’autentico spirito del francescanesimo testimoniato fino a sfidare la morte nella patria stessa del fondatore.

Né va dimenticato che proprio Nicolini propose ed ottenne che San Francesco fosse proclamato patrono d’Italia. Più di un capitolo è dedicato al lavoro svolto a favore degli ebrei, ma anche di militari, italiani, tedeschi ed alleati, catalogabili nella figura del “rifugiato clandestino”, in una pluralità di interventi che guardavano al bisogno della persona in pericolo che bussava alla sua porta o veniva segnalato dagli amici.

Il tutto si svolgeva in una riservatezza totale, stringente, unica arma di difesa contro gli spioni e i delatori fascisti che s’annidavano dappertutto. Pur sospettando quando accadeva all’interno del monastero di clausura di S. Quirico, dove decine di ebrei e di rifugiati clandestini ottennero documenti falsi, riuscirono solo in un caso a denunciare un quintetto di persone munite di documenti falsi. Nazifascisti, come si legge in una cronaca dell’epoca, rosi dal rancore per un aiuto che a loro forse sarebbe stato negato, oggetto comunque di una pretesa odiosa visto il loro ruolo. Nelle annotazioni trascritte segretamente dalle badesse nei vari conventi per quanto riguarda gli ospiti, si parla “di persone di diversa religione e parte politica, tutte oneste, rette, buone e anche religiose, tanto i cattolici, quanto gli ebrei”, I fascisti arrivarono eccome durante il Governo Badoglio e dopo l’arrivo degli alleati.

“Passata la bufera”, come lasciarono scritto, gli ebrei di Trieste, grati a mons. Nicolini, recarono in dono una piccola campana, battezzata come “campana degli ebrei” che fu collocata all’ingresso della residenza vescovile. E' ancora oggi visibile e funge da “campanello”.

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