A peste, fame et bello…

“A peste, fame et bello libera nos Domine” (dalle epidemie, dalla fame e dalla guerra liberaci o Signore). È l'invocazione che caratterizzava i riti processionali primaverili delle rogazioni, in aperta campagna, quasi dappertutto scomparsi, che prendevano il via il 25 aprile, data celebrata oggi come annivesario della Liberazione dal secondo conflitto mondiale. Una ricorrenza pregna di significati in questo 2015 per i valori umani, religiosi, sociali e politici offesi dalla barbarie rivoluzionaria dell'integralismo islamico e dalle aggressioni causate da proteste xenofobe, con uccisioni di cristiani, (29 cristiani copti etiopi decapitati dai miliziani del sedicente Stato islamico in Libia), di islamici moderati, con annegamenti di massa, kamikaze che si fanno saltare nei luoghi affollati, dentro e fuori le chiese, e violenze di ogni tipo.

“La nostra Chiesa è Chiesa dei martiri, la testimonianza dei martiri ci aiuta a non cadere nella tentazione di trasformare la fede in potere” è il grido pressoché quotidiano di Francesco che si è fatto più forte con l'invito a tutti, vescovi, sacerdoti e famiglie ad “alzare la voce” per difendere “la persona umana e la sacralità della vita”. I cristiani perseguitati segnano un fallimento dell'Onu, ha dichiarato al Palazzo di Vetro di New York l'osservatore permanente del Vaticano Bernardito Auza, durante una conferenza sulla persecuzione dei cristiani a livello globale, “martiri più numerosi che nei primi secoli cristiani”.

La Caritas diocesana per venerdì 24 aprile, ha indetto una veglia di preghiera per le centinaia di morti nel Mediterranro. Il Forum trentino per la Pace con 900 secondi di silenzio in piazza Duomo, mercoledì 22, ha voluto ricordare le centinaia di vittime del naufragio al largo della Libia e davanti alle coste di Rodi in Grecia. Sono iniziative che passano tuttavia fra l'indifferenza generale in una contestazione ripetitiva ed assordante di talune forze politiche contrarie a “Mare Nostrum” a “Triton” e a qualsiasi altra forma di aiuto e soccorso nei confronti di coloro che fuggono da guerre e povertà. Risposte tiepide e tardive quelle che arrivano anche dall'Unione Europea che sembra uscita, negli ultimi giorni, dietro sollecitazioni di Italia, Chiesa, movimenti e gruppi di pressione, dal letargo, annunciando di voler punire i nuovi schiavisti distruggendo i barconi della morte. I presidenti delle Conferenze episcopali dei Paesi del sud-est europeo, riuniti a Bucarest per un incontro sul tema della famiglia, hanno lanciato un deciso ed unanime appello perché i governi europei non si rassegnino alle tragedie del mare. I leader della Conferenza della Kek, l'organismo che riunisce Chiese protestanti, anglicane e ortodosse d'Europa, hanno chiesto una rinnovata solidarietà e azione per una risposta collettiva, chiedendo sforzi più significativi per prevenire la perdita di altre vite umane e sostegno ad Italia, Malta e Grecia “largamente lasciate sole in operazioni di soccorso”. Secondo il pastore luterano Tveit simili tragedie devono indurre a rafforzare gli sforzi per affrontare alla radice le cause della povertà, dell'insicurezza sociale, dovute ai conflitti nei Paesi di provenienza dei migranti. La Kek, infine, rimarca l'opportunità di percorsi legali e sicuri di accesso in Europa. Anche l'università islamica Al Azhar, massimo Centro accademico dell'islam sunnita, ha definito la strage di 28 etiopi un “crimine odioso che va contro qualsiasi religione, legge o condotta umana”.

Le tragedie del mare interrogano in quale misura l'UE prende sul serio i valori, così spesso evocati, sui quali si fonda. Le catastrofi nel Mediterraneo costituiscono un fallimento per tutto ciò che fa dell'Unione Europea una comunità di valori. Sono parole taglienti di denuncia e di condanna del card. Reinhard Marx, presidente della Commissione degli episcopati europei (Comece). “L'Unione Europea – scrive Marx – non può rimanere inerme davanti a questa catastrofe umana. Nei fatti, si potrebbe biasimare il potere di attrazione dell'Unione Europea per i rifugiati, le misure europee da cui traggono vantaggi i trafficanti, o ancora la mancanza di azione per contrastare le cause che portano gli immigrati a fuggire dal loro Paese d'origine. Ma tutto ciò non giustifica il fatto che si chiuda gli occhi sulla tragedia umanitaria che è in atto nel Mediterraneo e che deve essere affrontata dalla UE”. Aggiunge poi che la politica in Europa ha spesso deplorato la morte dei rifugiati, senza però trarne conseguenze. È la posizione di tutta la Chiesa d'Europa, voce che non potrà passare inascoltata giovedì 23 aprile al summit straordinario dei capi di Stato e di governo europei sul tema delle migrazioni, vista anche la perentorietà della conclusione del card. Marx: “Ogni misura necessaria deve essere presa perché una tragedia come quella di sabato non accada mai più”.

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