La dittatura degli esperti opprime i poveri

Nella lezione dell'economista Easterly in Sala Depero 500 anni è più di sfruttamento. Che oggi assume forme diverse. Ma esistono pratiche capaci di contrastarlo, come discusso a Oltreconomia Festival

Cosa accomuna il Congo (oggi Zaire) del XVI secolo e la Grecia del XXI secolo? Apparentemente, nulla. Ma a ben guardare, in un caso come nell'altro, siamo di fronte a vicende nelle quali il saldarsi degli interessi delle elites politiche ed economiche finisce per creare situazioni di sfruttamento che si basano sulla negazione dei più elementari diritti umani. E le diseguaglianze, l'impossibilità di miglioramento sociale e le discriminazioni si perpetuano grazie all'intervento dei tecnocrati – gli esperti che non vengono eletti e non devono perciò rispondere alle moltitudini che subiscono le loro scelte. L'analisi del prof. William Easterly, docente di Economia alla New York University, condirettore del NYU Development Research Institute e autore per Laterza del libro La tirannia degli esperti. Economisti, dittatori e diritti negati dei poveri (2015), nel suo intervento lunedì 1 giugno nella Sala Depero del Palazzo della Provincia di Trento in piazza Dante, è partita da molto lontano, dal 1483, con la tratta degli schiavi in Africa, per arrivare ai giorni nostri in un excursus storico ricco di esempi, riferiti in particolare all'Africa.

Al periodo della tratta degli schiavi, gestita in un primo tempo dai portoghesi, poi dalle altre potenze europee, ma anche dagli arabi, è seguita la stagione del colonialismo, che – in particolare nelle colonie britanniche – si fondava spesso su una forma di amministrazione indiretta: la classe dirigente locale, africana, veniva selezionata dall'Inghilterra o era comunque soggetta alla sua approvazione. Di conseguenza i vari re e governanti locali non avevano alcun interesse ad agire per il bene del loro popolo; piuttosto, dovevano servire gli interessi della potenza coloniale che li aveva imposti. Dal colonialismo agli anni della Guerra fredda, con le superpotenze a fronteggiarsi nel continente. Di nuovo, appoggiando dittatori locali (come Mobutu nel Congo, poi Zaire) e favorendo la creazione di elites politico-economiche per coltivare i propri interessi e favorire un'economia basata sulla negazione dei diritti sia politici sia economici, con la sottrazione delle terre ai contadini e – come nel caso dell'Etiopia, citato da Easterly – lo spostamento forzato di interi villaggi, per far posto alle coltivazioni intensive e monocolturali destinate all'esportazione.

Oggi alla Guerra fredda si è sostituita la cosiddetta "Guerra al terrore". I dittatori a cui l'Occidente – soprattutto Usa e Inghilterra – si appoggiano continuano a ricevere aiuti politici, economici, militari.

Il paradosso è che questi “cinque secoli di oppressione occidentale”, ha osservato Easterly, sono stati giustificati in nome dello sviluppo. “Ho parlato della ricollocazione forzata di intere popolazioni”, ha osservato Easterly. “Ebbene, istituzioni come la Banca Mondiale si sono rese responsabili di ciò. Già il colonialismo giustificava il dominio sugli altri popoli in nome del progresso economico e sociale. Ma tutto ciò si realizzava azzerando i diritti”. Si diceva di voler migliorare la condizione dei popoli 'arretrati' del mondo. Ma anche oggi ci si appella a giustificazioni “umanitarie” per sostenere i dittatori. E proprio in nome di un approccio umanitario che in realtà serve solo a perpetuare le ingiustizie e le disuguaglianze sono state riproposte dai tecnici soluzioni (per problemi che vanno dalla povertà alla malaria) che erano già state suggerite in epoca coloniale, 70 anni fa. Il che dimostra, per Easterly, come l'approccio tecnocratico non funzioni, perché ignora la radice politica dei problemi, e in particolare la negazione dei diritti fondamentali, come quello alla mobilità sociale o quello dei piccoli coltivatori a rimanere sulla lora terra. Ecco cosa comporta la dittatura degli esperti, un approccio tecnocratico che ritiene, illusoriamente, che la povertà possa essere risolta ignorando le radici politiche della povertà.

In questo quadro piuttosto fosco di negazione della mobilità sociale e dei diritti, la buona notizia c'è: ed è che ci sono economisti africani che vogliono cambiare questo stato di cose. Qualche esempio? In Africa ci sono Paesi le cui economie cominciano a crescere, e crescono rapidamente, in conseguenza della libertà politica ed economica conquistata. Nel 1988, ha ricordato Easterly, solo due Paesi in Africa erano cosiderati democratici e 31 erano retti da dittatori; nel 2012 i dittatori sono 11, i Paesi democratici 11. “I progressi ci sono, aumentano le proteste”.

La domanda, sollecitata anche dal pubblico presente nella Sala Depero, è: cosa possiamo fare per i Paesi che vogliono uscire dalla povertà? Possiamo protestare contro i nostri governi che sostengono gli oppressori, ha concluso Easterly. E sostenere i popoli che lottano per il diritto ad essere liberi.

A ragionare su politiche economiche liberanti piuttosto che opprimenti c'hanno provato, nel corso dell'Oltreconomia Festival che ha animato negli stessi giorni del Festival arancione i giardini del parco Santa Chiara, i protagonisti dell’economia alternativa, che fanno anche parte delle maggiori esperienze di costruzione collettiva di politiche e pratiche per un’economia solidale. Qui i dibattiti hanno saputo coinvolgere il pubblico attraverso assemblee partecipate. Erano più di cento le persone all'assemblea finale che ha ragionato sulle politiche economiche europee, fra austerity e nuove forme di welfare, insieme ai rappresentanti di movimenti affermatisi prepotentemente sulla scena politica europea come Podemos, in Spagna, e Syriza, in Grecia.

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